Aleksandr Sokurov: combatto contro il cinema merce


A un certo punto un elegante signore si fa strada tra la folla di cameramen e curiosi per salutare calorosamente Aleksandr Sokurov. Quel signore è nientemeno che Manoel De Oliveira, il decano dei registi europei: è accaduto al Premio Bresson, andato quest’anno al cineasta russo dopo Tornatore, Wenders, Zhang Yuan e lo stesso De Oliveira. Il premio, che viene assegnato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo presieduta da Dario Viganò al cineasta che meglio abbia contribuito al difficile cammino della ricerca di un significato spirituale, ha richiamato all’Hotel Excelsior del Lido il patriarca di Venezia, mons. Angelo Scola, il sindaco Cacciari, Gaetano Blandini, che ha portato il saluto del ministro Rutelli, oltre a Croff e a Marco Müller, che di Sokurov è stato produttore (Il sole) e che tornerà a esserlo con il prossimo progetto dedicato alla figura di Faust nella lettura di Goethe e Thomas Mann. Mentre il suo film più recente, Alexandra, a Cannes in concorso, sarà distribuito dall’indipendente Eskimo che sta cercando proprio in queste settimane un partner forte per portare quest’opera sulla riconciliazione in Cecenia nelle sale, oltre che in dvd. Infine è altamente probabile un’anteprima italiana al festival di Torino. Confessando di aver visto proprio questa estate Moloch e L’arca russa, il cardinale Scola ha cercato risposte alla domanda sulla spiritualità che sta alla base del premio. “Lo spirituale è tale se mi consente di vivere meglio il reale nelle sue due dimensioni, che sono il lavoro e gli affetti. I due film di Sokurov che ho visto mi hanno dato questo, perché sono film sul futuro”. Mentre il regista russo ha dedicato un pensiero a Luciano Pavarotti, “che ci ha traghettato verso gli spazi della perfezione e dell’arte e con la musica ci ha insegnato che non tutto è permesso nella vita”.

In che modo si sente vicino a questo premio, dedicato a Robert Bresson?
Ho sempre cercato di contrastare la violenza nel cinema e nella vita. Cerco di oppormi alla propaganda della violenza, ma ormai siamo in pochi e in America non c’è quasi più nessuno. Robert Bresson è una fonte di ispirazione per tutta la mia opera ed è una grande responsabilità ricevere questo premio e riceverlo in Italia.

Marco Müller ha ricordato i tempi in cui lui era direttore della Mostra di Pesaro e il suo cinema era ancora “congelato”. Adesso si considera libero?
Per chi, come me, cerca di contrapporsi alla maggioranza, al gusto dei registi al servizio del grande pubblico, i problemi non sono certo finiti con la fine della censura. Io non combatto chi fa cinema commerciale, sono loro a considerarmi un nemico, sono loro che mi temono. La cultura dei paesi europei, la cultura italiana, che è una delle più alte, non riesce a salvarci da questo gusto mercificato. E ne sa qualcosa il mio produttore Andrei Sigle.

I suoi film, tanto apprezzati nei festival e dalla critica, riescono a trovare un pubblico anche in patria?
La gente che ama il cinema serio mi segue, ma chi si è sempre tenuto lontano dalla letteratura e dall’arte continua a farlo. Del resto era così anche per Antonioni e Fellini. In Russia la distribuzione è in mano agli americani e io lotto perché il cinema russo sia mostrato nelle sale.

“Alexandra” è già uscito nei cinema russi?
Uscirà il 20 novembre. A ottobre faremo un’anteprima nel Caucaso, nelle zone che hanno sofferto per la guerra. Mi aspetto che quel pubblico capisca il film. So che la gente comune comprenderà.

Vede all’orizzonte una soluzione per i drammi della Cecenia?
Il mio compito, come artista, è pensare all’anima, i crimini del potere li giudicherà la Storia. Temo che siamo lontani dalla soluzione dei problemi. La guerra è l’unico processo storico che non può continuare all’infinito, ma la cosa più difficile è vivere il dopo. Come si fa a convivere con la coscienza di aver ucciso? È un dilemma che neppure Dostoevskij in Delitto e castigo ha risolto. Le grandi colpe dei potenti, la brutalità, l’ignoranza, l’arroganza e la stupidità restano. I politici non si occupano dei problemi che devono risolvere ma dedicano tutto il loro tempo alla digestione come bambini con il mal di pancia, sempre di corsa dal bagno alla farmacia.

La Chiesa ha ancora un ruolo in questa lotta contro gli abusi dei potenti?
Da uomo, individuo e artista il mio impegno per la pace coincide pienamente con quello della Chiesa che è sempre più chiamata a tutelare non soltanto l’anima, ma anche i diritti dell’uomo. In questa missione di avvicinamento alla realtà la Chiesa deve dimostrarsi inflessibile, senza scendere a compromessi con la politica, né interferire con le istituzioni.

Lei è credente?
Sì, sono ortodosso.   

autore
06 Settembre 2007

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