“Spero che il mio film contribuisca a raccontare quel periodo in chiave non ideologica, grazie a persone fuori degli schieramenti come lo era Giorgio Perlasca che, benché fascista e combattente franchista nella guerra civile spagnola, si comportò né come uomo di destra né di sinistra, ma solo come uomo”. Da poco più di una settimana Alberto Negrin ha concluso le riprese a Budapest di Giorgio Perlasca. Un film tratto dalla Banalità del bene di Enrico Deaglio, saggio tra giornalismo e storia, che ricostruisce la vicenda di “un giusto” ignorata per oltre quarant’anni dalla stampa italiana. Verso la fine del 1944, il giovane Perlasca, commerciante di carne a Budapest, schieratosi con Badoglio dopo l’8 settembre, si finse diplomatico e nell’Ungheria delle “Croci Frecciate” naziste salvò più di cinquemila ebrei dallo sterminio.
Negrin, già altre volte si è cimentato con la storia di quel periodo: un film sulla Rosa Bianca, il gruppo di studenti cattolici di Monaco condannati alla decapitazione perché oppositori di Hitler; la Resistenza piemontese in Una questione privata dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio e gli ultimi giorni di Mussolini in Io e il duce.
Giorgio Perlasca, sottotitolo Il coraggio di un uomo giusto, realizzato per Rai Fiction, è una coproduzione internazionale (Italia, Francia, Svezia, Ungheria, Olanda), promotore dell’impresa produttiva è Carlo degli Esposti della Palomar; sceneggiatori, oltre a Deaglio, Stefano Rulli e Sandro Petraglia i quali hanno preferito un titolo meno raffinato, più semplice da comunicare al pubblico televisivo.
Negrin, il suo film quando andrà in onda?
La Rai prevede in autunno o in occasione del giorno della Memoria (27 gennaio). Ora ci attende una faticosa postproduzione: montaggio, doppiaggio e musiche di Ennio Morricone.
Difficoltà a trovare i luoghi di un tempo?
No, perché Budapest è rimasta una città intatta, ha avuto distruzioni, ma sono ancora tanti gli edifici e le strade di allora, là dove Perlasca svolse la sua attività.
Quale la parte più complessa da realizzare?
Offrire uno spiraglio dell’orrenda realtà dello sterminio degli ebrei, che è inenarrabile. Il compito più impegnativo che può capitare a un regista è restituire quella violenza che si manifestava a tutti i livelli: fisico, psicologico, familiare, sociale, Gli stessi sopravvissuti affermano che non ci sono parole e immagini in grado di restituire l’Olocausto. Quel che si tenta di raccontare o mostrare è sempre meno di quello che è successo.
Come mai il cinema oggi recupera storie di persone sconosciute per narrare gli eventi dell’ultimo conflitto?
Finora, raccontando la storia della seconda guerra mondiale, prevalevano le linee ideologiche dello scontro, cioè partiti contro partiti, movimenti contro movimenti. Da quando l’ideologia è diventata un reperto archeologico, è tornato in primo piano finalmente il valore della persona. Quello che fa un uomo singolo è molto più importante di quello che veniva attribuito, un po’ per demagogia, a dei partiti, intesi come entità assolute. Che cosa fa Perlasca? Mette in gioco la propria vita senza calcoli di alleanze, di manovre tattico-strategiche politiche. L’uomo torna a essere protagonista, con i suoi principi, le sue responsabilità, indipendentemente dal branco d’appartenenza.
Dunque Perlasca è un antieroe?
Né antieroe né eroe, metterei da parte queste categorie. E’ un uomo normale che, in una condizione molto drammatica e straordinaria, diventa qualcuno salvando, a rischio della propria vita, il suo prossimo.
Protagonista principale è Luca Zingaretti…
Un attore straordinario, di grande talento che proprio con me ha mosso i primi passi interpretando dieci anni fa circa uno capopartigiano in Una questione privata. Allora dicendo “la macchina da presa ti ama”, gli pronosticai un grande futuro. Ma voglio ricordare altri interpreti: dalla Francia Mathilda May e Jerome Mongé, dalla Svezia Valle Grandiskij.
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