Un doppio evento nella Piazza Grande di Locarno aveva chiuso lo scorso 12 agosto la kermesse festivaliera svizzera: il concerto e la proiezione del documentario di Agostino Ferrente L’Orchestra di Piazza Vittorio. Un’occasione per celebrare il mix delle culture in tempi in cui, nei fronti di guerra mediorientali, le stragi di civili alimentano lo scontro di civiltà. L’Orchestra di Piazza Vittorio è la storia straordinaria dell’omonimo ensemble musicale, composto da 40 musicisti di 15 paesi, musulmani, induisti, ebrei, cattolici e atei, che contando solo su caparbietà e talento hanno creato una realtà discografica. Un’avventura nata insieme al progetto di recupero del cinema Apollo 11, storica sala romana che qualcuno voleva trasformare in Bingo e un gruppo di artisti testardi, tra cui Ferrente, cerca di restituire al quartiere, Piazza Vittorio, primo polo di attrazione della città per migranti provenienti da quattro angoli del pianeta. Il film è prodotto da Lucky Red, Pirata MC e Bianca Film. Arriva in sala il 15 settembre con la distribuzione di Andrea Occhipinti, dopo aver aperto, proprio a Piazza Vittorio, la rassegna Locarno a Roma.
Quando hai deciso di fare un film sull’Orchestra?
Il film è venuto prima dell’orchestra. L’ho girato come fosse un video-diario. Riprese e montaggio sono andati insieme. All’inizio i miei amici mi davano del pazzo perché volevo fare un film che tenesse insieme 40 personaggi, le loro canzoni e la storia di Apollo 11. La musica ha un ruolo chiave, narrativo più che decorativo. Ogni brano raccoglie il bagaglio di ricordi, emozioni e relazioni di chi lo esegue. Forse il titolo più adatto era “Prove d’orchestra”: ammiccava troppo a Fellini ma esprimeva meglio sia il lavoro dei musicisti che le dinamiche di interazione tra culture diverse.
Qual è il legame tra l’Orchestra e il progetto Apollo 11?
Nel 2001 quando ho cominciato a tracciare una mappa degli artisti di Piazza Vittorio da coinvolgere nel progetto di recupero del cinema, per primo ho chiamato Mario Tronco, il tastierista degli Avion Travel. Immaginavo l’Apollo 11 come un cinema dalla programmazione aperta alla realtà degli immigrati di Piazza Vittorio. Mario aveva un’idea simile sulla musica: creare un’orchestra di musicisti migranti. All’inizio abbiamo pensato di cercare i musicisti tra i lavoratori del mercato e dei negozi locali, poi la rotta è cambiata e ci siamo affidati al passaparola, a internet e al caso. Il Piccolo Apollo, la sede dell’associazione Apollo 11 ospite di una scuola di Piazza Vittorio, è diventato la casa dell’Orchestra. A Mario non interessava sacrificare il valore artistico del progetto per quello politico, cioè scegliere i musicisti in quanto rappresentanti di questa o quella comunità culturale. Oggi, come direttore, non ha un approccio filologico alla musica etnica. L’orchestra suona una musica bastarda. E’ il frutto della fusione delle tradizioni.
Sei regista, produttore e co-protagonista. Non temi la trappola del narcisismo?
Volevo una co-regia ma nel 2001 nessun produttore credeva nel progetto. Così il mio ruolo si è sdoppiato, anzi triplicato. Nel frattempo ho anche lavorato come direttore artistico del Piccolo Apollo per promuovere i film degli altri, di documentaristi giovani e di grandi maestri come Vittorio De Seta. E’ stato faticosissimo tenere tutto insieme ma anche formativo. Al Piccolo Apollo abbiamo dimostrato di poter fare tanto senza grandi finanziamenti. L’unico rammarico è che aspettiamo ancora una risposta dal Comune di Roma riguardo all’Apollo 11. Il cinema fa gola a molti ed è affidato all’Assessore al Patrimonio che si occupa di business non di cultura.
Che cosa farai dopo l’Orchestra?
Torno a girare con Giovanni Piperno, il regista che mi aperto la strada del documentario. La Rai ci ha chiesto di lavorare sul tema dell’amore ai tempi della globalizzazione. Lo faremo a modo nostro, usando internet per raccogliere esperienze di giovani di tutto il mondo, dagli iraniani ai newyorchesi. Per saperne di più andate su http://www.indigofilm.it/
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