“La portatrice d’acqua, figura antica e moderna di tutte le culture, è la prima immagine affiorata per un racconto con l’acqua come protagonista. Il mondo sommerso nel ‘mare centenario’ dell’Archivio Luce funziona così, portando i relitti delle immagini in superficie, immaginandoli”.
Così Roland Sejko (David di Donatello per Anija – La nave e Nastro d’Argento per La macchina delle immagini di Alfredo C.) descrive l’idea alla base del suo Acqua, porta via tutto, il film basato sulle eccezionali immagini degli archivi Luce presentato domenica 14 aprile, alle 21:00, al Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario, nel corso della serata finale.
“E poi l’immaginazione diventa visibile, tuffandosi tra migliaia di eventi in un secolo di filmati”, continua il regista. “Fiumi, ruscelli, fontane, piogge, alluvioni, barche, navi, naufragi. E onde di volti, di persone che cercano l’acqua, navigano, alzano gli occhi al cielo, subiscono la furia dell’acqua, e poi riprendono a vivere in altre immagini, lambite dall’acqua e dalla storia. Ne emerge il riflesso di chi guarda”.
Il film, coprodotto da Luce Cinecittà, che viene proiettato in occasione del centenario dell’Istituto Luce (1924-2024), scorre leggero per 40 minuti attraverso un secolo di storia, incantando e sorprendendo lo spettatore a ogni cambio di scena così come l’acqua che ne è protagonista, sulla quale risuonano la calda voce del poeta Gian Mario Villalta (Premio Viareggio per la poesia) e le musiche del compositore Teho Teardo (Premio Ennio Morricone per Il divo di Paolo Sorrentino e Ciak d’Oro per Lavorare con lentezza di Guido Chiesa): immagini girate nel corso di lunghi anni da decine e decine di operatori e registi, che spaziano dalle maestose fontane di Roma a quella stessa portatrice, che attraversa i campi quasi danzando con il suo prezioso carico sul capo, per poi passare all’alluvione del Polesine, dove ogni tipo di umanità sembra persa per sempre in indimenticabili sequenze, tanto commoventi quanto surreali. Come a comporre la stessa poesia, anche le immagini e la musica entrano nel racconto alla pari, in un crescendo toccante e a tratti decisamente drammatico. E niente come la metafora del ‘mare centenario’ utilizzata da Sejko, che è anche direttore della redazione dell’Archivio Luce, ne rappresenta al meglio l’immenso patrimonio, che grazie ai versi e alle musiche trasforma il film in una sorta di sinfonia illustrata.
L’evento conclusivo del 17mo Pordenone Docs Fest, voluto dal suo direttore artistico Riccardo Costantini, non si limita tuttavia a questa straordinaria esperienza visiva, ma come da tradizione prenderà vita in un cineconcerto, una live-performance che coinvolgerà gli artisti che hanno partecipato al progetto. Sullo scorrere delle immagini, infatti, Villalta reciterà al pubblico i suoi versi inediti, mentre Teardo e il suo quartetto eseguiranno dal vivo le musiche create appositamente per il film.
Al regista chiediamo se questa è la prima volta che le immagini dell’Archivio Luce sono protagoniste di un evento di questo tipo.
“Il lavoro della redazione dell’Archivio consiste in primis nella valorizzazione dei suoi materiali. Oggi, nel caso del Docs Fest, passa per la realizzazione di un concerto, ma seguendo comunque la scia di altre forme di valorizzazione artistica cercate negli anni all’interno dei Festival”, spiega Sejko. “Certamente il tema dell’acqua ha acquistato una forza ancora maggiore con la magia delle musiche di Teho, è stato davvero un grande onore collaborare con lui. Ma anche con le bellissime poesie di Villalta, che ha trovato le parole giuste per accompagnare le immagini, montate meravigliosamente da Luca Onorati: con lui ho fatto quasi tutti i miei film e mi trovo in perfetta sintonia”.
Con Teho Teardo, invece, parliamo di come è nata la collaborazione con Sejko e con questo film così speciale.
“Il mio incontro con Roland e il suo film lo devo a Riccardo (Costantini, ndr), che ci ha riuniti tutti invitandoci a collaborare in questo progetto di cinema-concerto. Ci sembrava importante che ci fosse anche un aspetto poetico in questo lavoro”, ci racconta il compositore. “Riccardo ha contattato anche Villalta, un bravissimo poeta di Pordenone, che vedendo le immagini senza ancora aver ascoltato alcuna musica, ha costruito un percorso di versi. E io in qualche modo ho usato quei versi come fossero una sceneggiatura per scrivere la mia musica: sono partito da lì, poi abbiamo cominciato a montare tutto assieme. Perché c’era bisogno di qualcosa che innescasse una visione musicale che non fosse prevedibile, legata a delle immagini che ormai fanno parte del nostro ‘archivio mentale’, non solo di quello del Luce… dove la misura della mia ‘protesta’ nei confronti del reiterare ormai infinito degli stessi errori da parte del genere umano non fosse soltanto una banale protesta, ma avesse una visione poetica”.
“L’acqua è lo specchio del nostro silenzio”, recita a un certo punto un verso di Villalta. Le immagini del Luce erano tutte senza suoni, o quella di renderle tutte ‘mute’ e ripartire da zero per musicarle è stata una scelta tua?
“No, le immagini non avevano alcuna musica, o meglio la scena della tonnara aveva delle voci registrate, ma per il resto era tutto muto. Forse meglio così, perché ho avuto più libertà nel pensare alla musica per questo film. Io credo che la musica la si trovi dentro le immagini: il punto è cogliere quello che quelle immagini ti stanno dicendo”.
Tra i suoni si riconoscono cori, campane, archi – anche ‘spezzati’ – tastiere, percussioni… come a scandire, sottolineandoli o quasi interrompendoli, alcuni momenti particolari del racconto in maniera molto esplicita, come a ricordare un po’ il più grande cinema muto. Quanto c’è di strumenti ‘tradizionali’ e quanto di sintesi?
Per me anche i sintetizzatori sono strumenti tradizionali ormai… In ogni caso la gran parte della musica del film è acustica: ci sono violoncelli, voci umane, come quelle di Laura Bisceglia e Flavia Massimo, le due violoncelliste che suonano – e cantano – in questo progetto, mentre al contrabbasso c’è Igor Legari. Sì, ho sottolineato molto alcune scene con il suono, soprattutto con le voci femminili, perché la figura della donna in questo racconto è determinante: è lei che porta l’acqua; è lei che la sposta. Ha un ruolo che l’uomo non ha mai voluto riconoscere pienamente. Per cui mi sembrava fondamentale che il suono principale fosse quello della voce femminile.
Nella tua carriera hai curato diverse colonne sonore importanti, più d’una per Daniele Vicari, ma anche per Gabriele Salvatores, Guido Chiesa, Paolo Sorrentino… in cosa si è differenziata questa tua esperienza con Roland Sejko?
“Lavorare sul materiale d’archivio ha delle dinamiche molto diverse da quelle che si presentano al fianco di un regista vivente che ha girato le sue immagini. Roland è stato una sorta di ‘guardiano, di ‘garante’ dei registi che non ci sono più: quei fantasmi che popolano questo film con le immagini straordinarie e incredibili che hanno girato. Ne ha fatto le veci in maniera sempre molto ferma e determinata, nel voler in qualche modo ‘proteggerli’, preservando l’integrità delle loro immagini”.
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