Dante Ferretti, scenografo da Oscar, da Macerata a Hollywood, passando per Cinecittà, compie 80 anni, seppur – come lui stesso ha raccontato in un’intervista a questa redazione (per la pubblicazione Non dire viola, 2018), tende a calcolare per sé un’età anagrafica di “50 + iva”.
Nato il 26 febbraio del ’43, Ferretti anche sulla data fa capriole giocose e afferma “il 31…”, numero impossibile per il mese corrente ma tant’è… perché lo stesso è il suo prediletto. Un’ironia propria della persona, maestro nel proprio mestiere, che percorre il suo animo umano: infatti Ferretti, ancora, racconta di essere “collezionista di colazioni” e che la sua pietra prediletta sia “una gemma: Marilyn Monroe. Siamo stati sposati per un po’ di tempo, poi è arrivato il presidente Kennedy”.
Una fantasia e un onirismo che – in carriera – si sono sposati nell’incontro e nello scambio di arti con Federico Fellini: il sodalizio conta cinque film insieme – tutti realizzati negli Studi di Cinecittà -, da Prova d’orchestra (1979) a La voce della Luna (1990), ultima opera del Maestro.“Di Fellini nulla si può dire avesse un minimo di realismo, apparteneva proprio ad un’altra dimensione. Lui ha sempre voluto creare un suo mondo, a cui io mi sono adattato”. Tra i due ci fu un primo avvicinamento per il Satirycon (1969), per cui Ferretti è stato aiuto di Luigi Scaccianoce, ma lo scenografo ricorda che, di ritorno dalla Cappadocia, “chi incontro all’ingresso di Cinecittà? Fellini. ‘Dantino, guarda che so tutto, so che hai cominciato a fare Medea con Pier Paolo, ma il prossimo film lo farai con me’ … da lì in poi ci siamo incontrati spesso a Cinecittà, però c’è un ricordo molto preciso: lui stava ultimando Il Casanova (1976), io stavo lavorando a Todo Modo di Petri; lui usciva dal teatro in fondo, quello con la piscina, io stavo al 13 o al 14, e una sera, era buio … ci incontrammo sotto un lampione. E lì mi disse: …’è ora che tu venga a lavorare con me’. E così iniziammo, con Prova d’orchestra e La città delle donne (1980)”, anche sinonimo dell’incontro di Ferretti con Martin Scorsese...
Ma prima un passo a ritroso, ai natali marchigiani di Ferretti, geografia anche degli studi superiori: si diploma all’istituto d’arte maceratese, ma s’avvicina presto alla Città Eterna, e quindi del cinema, frequentando l’Accademia delle Belle Arti di Roma: ventenne – età anagrafica che considerata poi la carriera a venire permette d’intuire già lì il prodigio, – collabora alla scenografia de Il Vangelo secondo Matteo (1964), e – sempre di Pasolini – anche di Uccellacci e uccellini (1966) e Edipo Re (1967), fino alla Medea del ’69 che firma come scenografo, sodalizio che Ferretti e Pasolini non interromperanno mai fino all’ultimo film di PPP, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). E – sempre nel suddetto libro – proprio parlando di Pasolini, Ferretti racconta: “Siccome, più che girare dal vero, ricostruisco, l’unica scaramanzia che pratico nella scenografia, soprattutto se debbo fare un film di periodo storico, è fare degli errori, volutamente. Se realizzo tutto in maniera perfetta mi sembra sia finto, invece se faccio uno sbaglio tutto assume credibilità. Questa modalità l’ho imparata da Pasolini, quando si girava il Decamerone (1971): si era a Napoli, fuori dalla chiesa di Santa Chiara. Dietro c’era un’uscita con una scalinata e una grande balaustra per scendere: Pasolini voleva che dei ragazzini la usassero per scivolare giù. Gli dissi che forse non era corretto, perché eravamo nel periodo medievale, mentre quella soluzione si collocava più nel Quattrocento. Lui mi risposte: ‘ma lei, Ferretti, lo sa che noi siamo proiettati nel futuro?’. Questa è stata la chiave che poi mi ha sempre fatto usare la modalità dell’errore, le cose troppo perfette non m’interessano”.
Cinecittà è la città del cinema nella città del cinema (Roma) per Dante Ferretti, ma per lui anche il cardine verso il cinema internazionale e poi Hollywood: è negli Studi di via Tuscolana che lo scenografo lavora all’opera filmica dal romanzo di Umberto Eco, Il nome della Rosa (1986) di Jean-Jacques Annaud, titolo di caratura internazionale, cui segue Le avventure del barone di Munchausen (1988) diretto da Terry Gilliam, che vale la prima candidatura all’Oscar per Dante Ferretti; arriva poi quella per l’Amleto (1990) di Zeffirelli – entrambe insieme a Francesca Lo Schiavo, sua moglie. È con L’età dell’innocenza (1993) che giunge la terza Nomination ma nasce anche il sodalizio con Martin Scorsese, che proprio Ferretti ri-porta a Cinecittà, luogo del loro primo incontro, in concomitanza del set felliniano: infatti, per Gangs of New York (2002), Ferretti ha ricostruito la città statunitense protagonista del titolo/film, come a fine’800, nei teatri di posa capitolini; tra pre-produzione (con la costruzione delle scenografie), riprese e post produzione, il set ha occupato Cinecittà per circa un anno e mezzo, rimanendo poi vivo/visitabile fin verso la fine del 2018. È proprio “con Scorsese” che Ferretti e Lo Schiavo, per The Aviator (2004), vincono finalmente la Statuetta, non l’unica.
Il “periodo americano” di Ferretti non si circoscrive a Scorsese, infatti firma – tra le altre – anche le scenografie di film come Intervista col vampiro (1994, quarta candidatura Oscar), Ritorno a Cold Mountain (2003) di Anthony Minghella o Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street di Tim Burton, per cui, nel 2008, lo scenografo vince il suo secondo Oscar. Ma il triangolo Ferretti-Scorsese-Oscar trova sua ennesima conferma nella terza Statuetta, quella che Dante Ferretti vince per Hugo Cabret (2012).
Tornando lì – dove “galeotto fu” l’incontro con Fellini, ma anche quello con Scorsese – a Cinecittà, Dante Ferretti da una quarantina d’anni ha eletto la stessa a sua dimora artistica stabile: la sua bottega d’artista, il suo atelier insomma – all’indirizzo dell’Attrezzeria 17 dei Teatri 8 e 9 – è il ventre in cui visionarietà e progettazione delle scenografie che hanno viaggiato e continuano a viaggiare per il mondo prendono vita.
Dante Ferretti festeggia 80 anni di vita, 60 circa di carriera, e la sua maestria è sempre all’opera, in questo momento su Verona, un’evocazione geografica e romantica che connette a Shakespeare e a Romeo e Giulietta, un film di Timothy Scott Bogart, con Rupert Everett e Lidia Vitale, tra gli altri.
La mini serie debuttava il 19 dicembre 1964, in prima serata su Rai Uno: Lina Wertmüller firma la regia delle 8 puntate in bianco e nero, dall’originale letterario di Vamba. Il progetto per il piccolo schermo vanta costumi di Piero Tosi, e musiche di Luis Bacalov e Nino Rota
Il capolavoro con Gene Wilder è uscito il 15 dicembre 1974: mezzo secolo di follia e divertimento targato Mel Brooks
Il 14 dicembre 1984 usciva nelle sale un film destinato, molto tempo dopo, a diventare cult
Il 10 dicembre 1954 esplode il mito popolare di Alberto Sordi, l’Albertone nazionale. È la sera della prima di Un americano a Roma