Nel 1995 Daniele Luchetti firmava uno dei ritratti più sinceri e graffianti del sistema scolastico italiano: La scuola, tratto dal romanzo Ex cattedra di Domenico Starnone. Il film – che oggi compie trent’anni – racconta l’ultimo giorno di lezioni in un liceo romano attraverso lo sguardo disilluso eppure appassionato del professor Vivaldi, interpretato da Silvio Orlando. In una manciata di ore si condensano speranze e frustrazioni, tensioni sociali e scontri generazionali. Ma soprattutto si afferma l’idea che la scuola sia uno spazio vivo, spesso imperfetto, dove il tempo si stratifica tra i sogni degli studenti e le stanchezze degli insegnanti. Con amara ironia e una lucidità straordinaria, Luchetti compone un affresco corale che ancora oggi parla al presente.
Perché la scuola è, per sua natura, teatro di conflitto e scoperta, di attesa e trasformazione. È un territorio fertile per la narrazione perché raccoglie in sé tutte le dinamiche fondamentali della esistenza umana: la crescita, il fallimento, l’incontro con l’autorità, la ribellione, il desiderio di appartenenza, la solitudine, l’identità in formazione.
La classe è un laboratorio di umanità, un palcoscenico dove l’adolescenza si misura con se stessa e con l’altro, spesso sotto l’occhio vigile e stanco degli adulti. Il cinema vi entra non per documentare, ma per interpretare, per scavare in quel momento di passaggio dove tutto è ancora in bilico. In quell’instabilità, nel movimento incessante tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe diventare, si annida il cuore drammatico e poetico di moltissime storie.
Attraversare i corridoi di una scuola al cinema significa attraversare i confini tra pubblico e privato, tra crescita individuale e condizionamenti sociali. È lì che si formano – o si spezzano – i legami, è lì che si comincia a capire che il mondo è più grande, ma anche più ingiusto e complesso, di quanto si credesse da bambini.
Il cinema torna spesso tra i banchi perché lì, forse più che altrove, può raccontare il momento esatto in cui si cambia pelle.
In Lady Bird (2017), diretto da Greta Gerwig, la scuola è il trampolino verso l’età adulta: Christine combatte contro i limiti imposti dalla famiglia e dalla provincia, cercando nel conflitto e nella distanza la propria voce.
Anche in Noi siamo infinito (The Perks of Being a Wallflower, 2012), diretto da Stephen Chbosky, la scuola è il luogo dove il giovane Charlie, segnato dal dolore e dalla timidezza, incontra l’accoglienza di nuovi amici e scopre il potere salvifico dell’appartenenza.
In Detachment – Il distacco (2011), diretto da Tony Kaye, Adrien Brody incarna un supplente spaesato e disilluso, testimone della fatica e della fragilità del sistema educativo americano: un racconto spoglio e profondo, che mostra il confine labilissimo tra empatia e rassegnazione.
La satira di Bad Teacher (2011), diretto da Jake Kasdan, e la brillante riscrittura di Easy Girl (2010), diretto da Will Gluck, dove la reputazione scolastica diventa un gioco pericoloso e moderno, offrono invece un controcanto ironico ai drammi del liceo, smontando stereotipi e rivelando la pressione sociale che grava sugli studenti.
Schegge di follia (Heathers, 1989), diretto da Michael Lehmann, porta ancora più agli estremi la guerra tra gruppi scolastici e si colora di tinte noir, tra battute al vetriolo e un finali drammatico. Winona Ryder è Veronica, adolescente in rivolta contro le regine crudeli del liceo.
L’attimo fuggente (Dead Poets Society, 1989), diretto da Peter Weir, resta un monumento alla forza trasformativa della parola e dell’educazione. Il professor Keating, interpretato da Robin Williams, insegna ai suoi studenti a non temere il pensiero indipendente, a vivere con intensità, a trovare la propria voce.
E poi c’è Rushmore (1998), diretto da Wes Anderson, dove l’ironia malinconica del giovane Max Fischer incontra la regia iper-stilizzata del suo autore: la scuola come palcoscenico per sogni, fallimenti, e sorprendenti alleanze intergenerazionali.
Il cinema italiano, oltre a La scuola, ha saputo esplorare la scuola come uno dei luoghi simbolici per eccellenza della formazione dell’individuo: uno spazio dove le tensioni quotidiane si fondono con la costruzione dell’identità e con le sfide del vivere collettivo. Nella varietà dei toni – ora nostalgici, ora ironici, ora intimisti – la scuola è rappresentata come campo di battaglia sociale, culla di ribellioni e di sogni.
In Notte prima degli esami (2006), diretto da Fausto Brizzi, l’esame di maturità si trasforma in un rito collettivo di passaggio, tra paure, sogni e il sapore dolceamaro degli anni Ottanta.
Il rosso e il blu (2012), diretto da Giuseppe Piccioni, torna dentro le aule con uno sguardo disincantato ma partecipe, seguendo insegnanti e studenti in un’educazione reciproca fatta più di errori che di certezze.
Caterina va in città (2003), diretto da Paolo Virzì, racconta lo spaesamento e la trasformazione di una ragazzina di provincia catapultata nell’alta borghesia romana, e proprio attraverso la scuola – con le sue rigide gerarchie sociali e le tribù adolescenziali – si misura il cambiamento del suo sguardo sul mondo.
Più generazionale e pulsante è Come te nessuno mai (1999), diretto da Gabriele Muccino, che ambienta interamente tra i banchi, i corridoi e le assemblee l’emergere della consapevolezza individuale e collettiva. L’occupazione scolastica diventa occasione per raccontare i turbamenti dell’adolescenza, tra amore, politica e desiderio di autodeterminazione, in un ritratto vivido e onesto dell’adolescenza italiana di fine anni Novanta.
E se il cinema italiano ha saputo raccontare con realismo e ironia la scuola come spazio di tensioni quotidiane e crescita personale, il cinema europeo non è stato da meno: ha offerto riflessioni profonde e sfumate sull’educazione, declinate secondo sensibilità culturali diverse e approcci stilistici spesso sorprendenti.
Il cinema britannico regala gemme come An Education (2009), diretto da Lone Scherfig, dove una studentessa brillante si lascia sedurre da un uomo più grande e scopre, con amarezza, che non c’è scorciatoia alla vera formazione, se non attraverso l’errore. O come The History Boys (2006), diretto da Nicholas Hytner, tratto dal testo di Alan Bennett, che intreccia sapere, desiderio e carisma, mostrando come l’insegnamento possa essere passione e seduzione intellettuale.
In Francia, La classe (Entre les murs, 2008), diretto da Laurent Cantet, vincitore della Palma d’Oro a Cannes, affronta con realismo quasi documentaristico il confronto tra un professore e la sua classe multietnica nella banlieue parigina.
Dal Belgio arriva Il patto del silenzio (Playground – Un monde, 2021), scritto e diretto da Laura Wandel, uno dei film più intensi degli ultimi anni sul mondo della scuola visto con la prospettiva di un bambino. Il film racconta, con inquadrature ravvicinate e uno stile asciutto, il difficile adattamento della piccola Nora in una nuova scuola elementare, dove il bullismo e il silenzio degli adulti diventano parte di un sistema più grande e spietato. Uno sguardo perturbante sull’infanzia come campo di battaglia silenzioso.
Dal cinema tedesco arrivano due film complementari e folgoranti: L’onda (Die Welle, 2008), diretto da Dennis Gansel, mette in scena un esperimento scolastico che sfugge di mano, rivelando quanto sia facile cadere nei meccanismi del totalitarismo; e La sala professori (Das Lehrerzimmer, 2023), diretto da Ilker Çatak, un thriller morale raffinato in cui una giovane insegnante deve affrontare il dilemma etico tra trasparenza e fiducia, controllo e rispetto.
Dal panorama spagnolo, infine, Il maestro che promise il mare (El maestro que prometió el mar, 2023), diretto da Patricia Font, restituisce dignità e memoria a una figura realmente esistita, il maestro Antoni Benaiges, ucciso dai franchisti per aver promosso un’educazione libertaria e poetica in una scuola rurale. Un racconto toccante che mostra come la scuola possa essere anche atto di resistenza, visione di futuro, promessa di libertà.
Tutte queste opere ci ricordano che la scuola, più che un semplice sfondo, è un luogo simbolico fondamentale: è teatro di formazione, confronto, resistenza. È il palcoscenico dove si mettono in scena le prime grandi scelte, dove si disegnano le relazioni più durevoli e dove si impara, spesso inconsapevolmente, a diventare adulti. O a resistere all’idea di esserlo.
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