Il 27 gennaio* del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Il 27 gennaio di ogni anno ricorre il Giorno della Memoria, a commemorare nel mondo le vittime dell’Olocausto.
E il cinema, espressione e linguaggio che con il concetto di memoria ha una strettissima prossimità, in quanto arte del perennemente vivo, perché chi e ciò che s’è impresso sulla pellicola vive un eterno presente, è una finestra sempre spalancata su un tema che – necessariamente, umanamente – non affievolisce d’essere soggetto di racconto: il cinema, nel mondo, è stato – e continua a essere – prolifico nell’essere strumento privilegiato, anche perché capace di parlare a un’amplissima platea, per non dimenticare, per tener sempre vigile la memoria sullo sterminio omnio delle persone ritenute dai nazisti “indesiderabili” o “inferiori” per motivi politici o razziali, tra loro gli ebrei d’Europa.
Da Schindler’s list (Steven Spielberg, 1993) a Train de vie (Radu Mihăileanu, 1998), da Il pianista (Roman Polański, 2002) a Il bambino con il pigiama a righe (Mark Herman, 2008), la Storia e la biblioteca visiva del cinema mondiale è foriera di racconti densi, ormai riferimenti “classici”, in cui la cinefilia non è più una questione di mestiere o di passione, ma si fa figlia della collettività nel nome di una Storia che non appartiene solo a pochi.
Il cinema italiano, nell’arco temporale di oltre mezzo secolo, ha tenuto viva la memoria con il tocco di autori, interpretazioni d’attori, e l’essenza di storie i più disparati tra loro, eppur abitando la stessa polis emotiva, partorita dalla mostruosità del genocidio per mano umana. Qui la memoria viene resa visione con le storie di una dozzina di film – di finzione, documentari, d’animazione:
Kapò (Gillo Pontecorvo, 1960 – Nomination Oscar Miglior Film Straniero). Edith/Nicole, portata in un campo, assiste alla fine dei propri genitori nella camera a gas. La disperazione, il terrore di una stessa sorte, la spingono a ricorre a una gelida razionalità: l’istinto di sopravvivenza è apicale, diventa essa stessa kapò, sentinella dei prigionieri e aguzzina senza pietà delle compagne di prigionia, fino poi al sacrificio, punto di riscatto umano e bisogno ultimo di ritrovare la propria identità natale.
Il giardino dei Finzi Contini (Vittorio De Sica, 1970 – Oscar Miglior Film Straniero). Dal romanzo omonimo di Giorgio Bassani, il regista affida a Lino Capolicchio e Dominque Sanda l’onere mettere in scena un sentimento amoroso abortito dal principio, non solo per le differenti intenzioni emotive ma per l’approssimarsi dell’ombra nera dell’eccidio, per cui la bellezza e la metafora del giardino, eden privilegiato della famiglia ebrea soprattutto dopo la promulgazione delle Leggi Razziali, sono l’idea di un mondo governato dal sublime dell’umano e non dal suo infernale delirio.
Pasqualino Settebellezze (Lina Wertmüller, 1976 – Nomination Oscar per 4 categorie; Wertmüller fu la prima donna ad essere candidata all’Oscar come Miglior Regista). Il guappo napoletano di Giancarlo Giannini, nella Napoli Anni ’30, si destreggia tra un maldestro delitto d’onore mancato, la condanna a morte anch’essa mancata per riconosciuta infermità mentale, e dodici anni in manicomio criminale. Nel capolavoro della farsa, il regime fascista offre a Pasqualino di scontare la pena arruolandosi nella spedizione in Russia: fedele alla filosofia del “tirare a campà”, accetta e riesce a disertare, finché viene internato in un campo di concentramento: seppur la sua esistenza non termini lì, l’essenza dello spirito pavoneggiante non può che essere minato per sempre.
Jona che visse nella balena (Roberto Faenza, 1993). Doppio campo di concentramento per il piccolo olandese Jona, quello di Westerbork e quello diBergen-Belsen: il bambino subisce la fame, il terrore, il freddo, le sofferenze, i soprusi, solo il cuoco e il medico dell’ambulatorio gli riservano garbo. Il destino dei genitori di Jona Oberski è tragico, ma lui sopravvive, torna ad Amsterdam, viene adottato e diviene scienziato, scegliendo poi di scrivere il suo romanzo autobiografico, da cui il film.
La vita è bella (Roberto Benigni, 1997 – Oscar Miglior Film Straniero, Miglior Attore protagonista, Miglior Colonna Sonora). Il ricorso al gioco per la cura di un bambino, Giosuè, che suo padre, Benigni stesso, cerca con la prassi ludica di proteggere dalla tragedia dell’Olocasusto: lo spirito lieve e giocoso del genitore – deportato insieme alla famiglia in unlager nazista – come strumento di protezione dagli orrori, nella prassi di far credere al piccolo che tutto ciò che vedono sia parte di un gioco appunto, in cui s’affrontano prove durissime per l’ottenimento di un magnifico premio finale.
Concorrenza Sleale (Ettore Scola, 2001). Nella Roma del ’38 Umberto Melchiorri e Leone Della Rocca – due intensi Diego Abatantuono e Sergio Castellitto – sono commercianti di stoffe, le loro attività occupano la stessa via. Il primo, di Milano, confeziona abiti su misura, mentre l’altro,ebreo romano, vende capi già confezionati: sono in concorrenza, commerciale. Il loro pessimo rapporto subisce un cambiamento radicale dopo la promulgazione delle Leggi, in una dinamica d’empatia umana che coinvolge anche le famiglie.
La stella di Andra e Tati (Rosalba Vitellaro, Alessandro Belli, 2018). L’animazione è un linguaggio capace, per la sua plasticità emotiva intrinseca, di trattare anche le più delicate tematiche: due piccole ebree italiane di Fiume avevano 4 e 6 anni il 29 marzo 1944, quando vennero deportate ad Auschwitz Birkenau insieme a madre, nonna, zia e cuginetto, dove su oltre 200.000 bambini pochi meno di 50 sopravvissero. Le piccole non sono frutto di fantasia per questo film breve (26’) ma le due sorelline Andra e Tatiana Bucci hanno davvero vissuto sulla propria pelle l’orrore, pur resistendo fino alla liberazione del campo e addirittura vivendo l’inimmaginabile ricongiungimento con mamma e papà, dopo un “viaggio” per mezza Europa.
1938 Diversi (Giorgio Treves, 2018). “Nel maggio 1940, sfuggendo alle Leggi Razziali fasciste, i miei genitori riuscirono a lasciare Torino e a imbarcarsi sull’ultima nave che andava in America. Il produttore Roberto Levi, rimasto in Italia con la famiglia, ha subìto le conseguenze delle Leggi Razziali fino a una provvidenziale fuga in Svizzera. Il film nasce da un profondo bisogno di sapere, capire e far conoscere. Anche perché quegli eventi, seppur in modi diversi, tornano a ripetersi e a minacciare il nostro futuro. Mai come ora la frase di Santayana ‘chi non conosce il passato sarà destinato a riviverlo’ ci deve essere di ammonimento”, le parole dell’autore del film, che anch’esso ricorre all’animazione, all’efficacia degli effetti digitali e alla sensibilità degli attori che leggono le fredde disposizioni amministrative, i deliranti proclami e le strazianti pagine di diari e epistolari, per toccare e far superare pregiudizi e indifferenza.
Tutto davanti a questi occhi (Walter Veltroni, 2018). C’è Sami Modiano in prima persona, con la propria toccante testimonianza di sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz Birkenau, deportato da Rodi quando aveva solo quattordici anni: un racconto documentario in cui l’uomo ripercorre come fu costretto ad affrontare la scomparsa del padre e della sorella, morti nel lager. Gli “occhi” evocati dal titolo, con monumentale dignità, si riempiono però umanamente di lacrime che non lasciano indifferenti, toccano, premono, scuotono l’animo e sono lacrime a cui dev’essere riconosciuto un valore civile, nella perenne necessità del rinnovarsi della consapevolezza verso il passato, per leggere il presente e architettare il futuro.
#AnneFrank.Vite Parallele (Sabina Fedeli, Anna Migotto, 2019). La vita della bambina del Diario e quella delle esistenze di cinque donne che, da fanciulle, furono deportate nei campi di concentramento ma riuscirono a sfuggire all’Olocausto. Un film su più piani temporali e geografici, con un unico nucleo storico: dal campo di concentramento, oggi centro di documentazione di Bergen-Belsen, dove riposano di Anne e Margot Frank, Katerine, una signorina contemporanea con lo smartphone a portata di mano, parte in solitaria per i luoghi della memoria e alcune capitali d’Europa, in dialogo costante con il Diario. In parallelo, su un set che è specchio della la stanza di Anne, Helen Mirren legge alcuni passi dello scritto, commentando e integrandolo le già dense pagine originali.
Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma (Giulio Base, 2020). 16 ottobre 1943. Il sabato nero degli ebrei di Roma: alle 5:15 del mattino le SS tedesche attaccano le loro abitazioni e rastrellano 1259 persone, tra cui oltre 200 bambini. La diciottenne Sofia, aspirante violinista e figlia di un pianista di fama internazionale, scopre in soffitta una vecchia valigia, dentro una lettera e la fotografia ingiallita di una bambinaebrea, Sarah Cohen, la cui famiglia è stata uccisa nel campo di Birkenau: decide di indagare per scoprire che fine abbia fatto quella bambina, che è stata adottata. La ricerca fa riemergere i traumi della guerra e dell’Olocausto, le violenze dei nazifascistie le sofferenze patite da milioni di famiglie distrutte. Da qui, la nascita di un copione teatrale tratto dalla lettera e dalla testimonianza di suor Lucia, autrice della stessa.
E, ultimo in ordine di tempo, in uscita proprio in occasione di questo Giorno della Memoria 2023:
Terezin (Gabriele Guidi, 2022). Il film – opera prima – racconta un lato inedito della vita vissuta dai deportati ebrei nei primi Anni ’40, all’interno del campo di detenzione di Theresienstadt, detto ghetto di Terezin appunto. Tra di loro soprattutto artisti e creativi , molti compositori, pittori, poeti, scultori, scrittori: il cuore e l’anima della cultura centro europea di quegli anni. La storia si focalizza sul clarinettista italiano Antonio, e su e Martina, violinista cecoslovacca, oltre a un gruppo di musicisti: descrive la forza dell’arte in situazioni estreme, raccontando come l’uomo sia profondamente capace di negare se stesso e allo stesso tempo, proprio grazie all’arte, in grado di compiere assoluti prodigi. Nel cast Mauro Conte (Una questione privata, Sulla mia pelle), Dominika Moravkova, Alessio Boni, Cesare Bocci, Antonia Liskova. Il film è una coproduzione internazionale di Minerva Pictures con Rai Cinema, insieme alla ceca Three Brothers Production.
* È stato designato dall’Assemblea generale delle Nazioni Uniteil 1 novembre 2005 durante la 42ma riunione plenaria e la risoluzione fu preceduta da una sessione speciale del 24 gennaio dello stesso anno, durante la quale l’Assemblea celebrò il 60mo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine dell’Olocausto. L’Italia aveva però formalmente istituito la giornata commemorativa nello stesso giorno già alcuni anni prima della corrispondente risoluzione dell’ONU. Gli articoli 1 e 2 della legge 20 luglio 2000 n. 211 definiscono le finalità e le celebrazioni del Giorno della Memoria: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ‘Giorno della Memoria’, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del ‘Giorno della Memoria’ di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
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