La meglio gioventù compie vent’anni tondi: dopo il trionfo a Cannes, infatti, il film-culto di Marco Tullio Giordana uscì in sala in due parti, diventando un caso cinematografico in Italia e all’estero, e andò in onda in tv il 7, 8, 14 e 15 dicembre 2003. I suoi protagonisti, quelli che il regista chiama con affetto “i suoi talents” di allora, sono oggi tra gli interpreti più affermati del grande e piccolo schermo, spesso anche del palcoscenico: Fabrizio Gifuni, Alessio Boni, Maya Sansa, Jasmine Trinca, Sonia Bergamasco, Luigi Lo Cascio. Ma chi ha cercato (e trovato) quello che si è rivelato un formidabile cast di attori, allora giovanissimi? In quel film, oltre al ruolo di aiuto regista, quello di Casting Director era svolto da Barbara Melega.
Nel 2003 lei aveva già lavorato in decine di film, molti pluripremiati. Con Marco Tullio Giordana, poi, aveva già collaborato più volte, ne I cento Passi e poi ancora in una decina di altri progetti. Come fu chiamata a lavorare su quel set?
A Marco Tullio Giordana fu data “licenza di uccidere” da parte del produttore Angelo Barbagallo e della Rai, nel senso che gli fu garantita la massima libertà nella scelta del cast, senza sottoporlo ad alcuna pressione. Ci lasciarono decidere per chi voleva, e fecero bene. All’epoca ancora vigeva la distinzione tra attori di teatro, di cinema e di televisione, considerati addirittura un gradino sotto. La meglio gioventù scardinò queste regole e ci permise di scegliere nel vasto panorama di attori, non necessariamente già “famosi”, nel senso di conosciuti e collaudati in esperienze precedenti, senza trascurare l’immensità dei ragazzi alla prima esperienza o quasi. Marco Tullio mi disse soltanto questo: “Ho ottenuto carta bianca per la scelta del cast, è stata la condizione per cui ho accettato questo impegno. È un’occasione unica e dobbiamo metterci sotto e trovare il meglio degli attori su piazza”
Tante ‘scoperte’ in un unico film: questione di grande ‘fiuto’, di fortuna, di periodo storico, di budget… o di cos’altro? Potrebbe succedere anche oggi la stessa cosa? Se si, o se no, perché?
Con Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco, attori di solida preparazione teatrale, avevo lavorato quell’anno (2001) nel film di Giuseppe Bertolucci L’amore probabilmente. Al tempo non erano ancora sposati ed erano entrambi incantevoli e rigorosi. Maya Sansa era una scoperta di Marco Bellocchio che l’aveva voluta protagonista de La Balia (1999). Jasmine Trinca aveva debuttato con Nanni Moretti ne La stanza del figlio (2001), un fiore appena sbocciato. Alessio Boni, anche lui proveniente dal teatro, era uno degli interpreti del successo televisivo Incantesimo. Valentina Carnelutti invece aveva debuttato come protagonista di un mio cortometraggio del 1995, Marta Singapore. C’era poi Luigi Lo Cascio, lo sbalorditivo protagonista esordiente de I cento passi, il film che Marco Tullio aveva realizzato nel 2000 in Sicila e dove avevamo “scoperto” tanti attori che importammo poi in blocco ne La meglio gioventù: Claudio Gioè, Andrea Tidona, Gaspare Cucinella, Pippo Montalbano, Mimmo Mignemi, Domenico Centamore. Nel comporre la nostra “orchestra” sapevamo di contare su “strumentisti” collaudati, oltre che persone con le quali era nata un’amicizia profonda. Eravamo sicuri che la loro presenza avrebbe dato grande forza al film.
Sono circostanze che potrebbero apparire speciali e in un certo senso lo sono. Sarebbe anche possibile ricrearle ogni volta, ma ci vuole grande intelligenza e apertura mentale da parte del produttore. Non posso non elogiare la figura carismatica e illuminata di Angelo Barbagallo, che aveva come produttore esecutivo Alessandro Calosci e come organizzatore generale Gianfranco Barbagallo – e non solo per aver affidato a Marco Tullio e ai suoi collaboratori questo progetto, ma per averci messo nelle condizioni migliori di esprimere il suo talento.
Fin qui abbiamo parlato dei protagonisti, che non sono però gli unici ruoli importanti.
Certo, come sempre dedicammo molto tempo e fatica ai ruoli cosiddetti “minori”, che sia Marco Tullio che io consideriamo invece addirittura importantissimi. Magari hanno solo il tempo di una scena, un giorno di riprese e basta, devono trasmettere un’emozione o un’informazione narrativa preziosa e la loro performance va considerata alla stregua del più presente dei protagonisti. A questi interpreti, alla cui ricerca e “scoperta” mi dedico con grande passione, voglio rivolgere tutta la mia gratitudine, perché i loro nomi finiscono nei titoli di coda, una pessima e irrispettosa abitudine che sfuma inesorabilmente privandoli del loro piccolo momento di gloria. Eppure il loro contributo è stato centrale nel supportare gli attori principali, nel comporre le tessere del mosaico su cui spiccano i protagonisti, l’armatura di ferro di una costruzione in cui anche l’elemento più nascosto ha una funzione fondamentale. Quando scorro la cast list di un progetto concluso, sono sempre piacevolmente sorpresa dalla qualità di ciascuno di loro, magari più di 100 nomi presenti. Ma la ricerca non riguardò soltanto il naturale bacino teatrale e cinematografico, allargandosi anche alla musica, come nel caso del jazzista Mario Schiano (il Professore di Anatomia) e ad attori come: Patrizia Punzo, Marcello Prayer, Fabio Camilli, Roberto Accornero, Walter Da Pozzo, Giovanni Martorana, Michele Melega, Fausto Maria Sciarappa, Maria Grazia Bon, Paolo Bonanni e tanti ancora. Per non parlare dell’attrice che Marco Tullio venera su chiunque altro: Adriana Asti, la prediletta, il grande amore. Che nella sua luminosissima carriera ha lavorato con registi del calibro di Luchino Visconti, Giorgio Strehler, Luca Ronconi, Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci, per lui riferimenti imprescindibili. Il continuo rispecchiamento e confronto fra le mie ricerche e intuizioni e le esigenze di Marco Tullio ha finalmente prodotto questo ensemble straordinario.
Quando e come entra in campo il ruolo del Casting Director? E quanto è durata la fase del casting per La meglio gioventù?
Il ruolo del Casting Director si svolge in un arco di tempo che dovrebbe idealmente cominciare quando la sceneggiatura è pronta, e termina generalmente prima dell’inizio delle riprese. Per La meglio gioventù cominciammo il casting nell’estate del 2001 e lo concludemmo poco prima di Natale. Le riprese cominciarono nel 2002 e il film fu presentato a Cannes nel 2003. I copioni delle quattro puntate erano già stesi nella loro prima versione e disponevo perciò, pur essendo gli sceneggiatori Sandro Petraglia e Stefano Rulli ancora al lavoro con Marco Tullio per gli ultimi ritocchi, del “profilo” dei personaggi, cosa che mi ha permesso di portarci in vantaggio perfino nella selezione di tutti i ruoli minori entro l’inizio delle riprese. Alle comparse nelle varie località dove si svolgeva il film e alla ricerca dei bambini e dei minori, ho lavorato con Luigi Palmulli. Ci ha aiutato Renzo Cantini per la scena dell’alluvione di Firenze, coadiuvato nella selezione da Federico Nuti (anche assistente alla regia). A Torino siamo stati invece supportati da Morgana Bianco. Mi piacerebbe dilungarmi sul rapporto con costumi (per La meglio gioventù, Elisabetta Montaldo) trucco (Enrico Iacoponi), capelli (Samantkta Mura) scenografia (Franco Ceraolo), fotografia (Roberto Forza) e suono (Fulgenzio Ceccon), reparti con i quali il confronto è prezioso, soprattutto se cominciato in fase di inizio preparazione del film, consente anche agli attori la possibilità di conoscere per tempo il proprio costume e gli oggetti di scena.
Quanto tempo ci vuole per decidere, e quanta libertà di osare le lasciano i registi? Come riesce a convincerli delle sue scelte?
La scelta definitiva è sempre quella del regista. Questo vale per ogni reparto, come fotografia, scenografia, costumi, montaggio. Ma per arrivare a questa scelta sono indispensabili il tempo, la cura, lo sguardo di un collaboratore dedicato a fondo a questa cernita così fondamentale. Senza dubbio si tratta di un lavoro creativo e di grande gusto personale. Che ti mette in ascolto delle tante voci in ballo: da quella dei produttori, degli sceneggiatori, alla capacità di dialogo e comprensione con il regista. Un lavoro che richiede anche una discreta capacità organizzativa, di saper gestire i rapporti e contatti con agenti e attori, di naturalmente di avere una buona tecnica nel girare provini con audio e video decenti!
Cosa ricorda di quei primi incontri per il casting, o dei provini?
Marco Tullio decise quasi subito di affidare il ruolo di Nicola a Luigi Lo Cascio, perfetto per incarnare un giovane intellettuale, sensibile e arguto. Poi ci fu la scommessa di affiancargli Alessio Boni, attore preparatissimo ma sin lì confinato a ruoli di “bello e dannato” nelle serie televisive. I due attori, che avevano studiato insieme all’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico, aderirono con totale spirito di fratellanza e la loro intimità non dovettero simularla. Il loro compagno d’Accademia Fabrizio Gifuni godeva di quello stesso speciale rapporto che li aveva legati negli anni di studio, e questo legame è fortissimo nel film anche oltre le indicazioni del copione. Lo stesso si può dire di Claudio Gioè, un veterano de I cento passi, che diede corpo al bellissimo personaggio dell’ex-operaio che diventa piccolo imprenditore. Anche per le scelte femminili furono abbastanza immediate. Marco Tullio scelse Sonia Bergamasco per interpretare il complesso personaggio di Giulia non appena seppe che era diplomata in pianoforte, decidendo addirittura di modificare alcune caratteristiche del suo personaggio. Anche Maya Sansa fu scelta molto rapidamente per il ruolo di Mirella e così la giovanissima Jasmine Trinca, non ancora convinta all’epoca di continuare a fare l’attrice. Anche Valentina Carnelutti fu scelta su due piedi, attrice di grande espressività e talento e così Lidia Vitale che avrebbe interpretato la sorella maggiore, magistrato. C’erano poi i giovani, come Riccardo Scamarcio, che venne per incontrare Marco Tullio con una serie di foto che mi parvero sbagliate. In tutta fretta gli prestai la mia vespetta 50 per correre in agenzia e procurane di migliori. Non sempre filmavamo i provini. Alle volte si improvvisava una lettura a tavolino, per assaporare quei dialoghi e dare qualche indicazione. Per la fotogenia ci si affidava alle foto. Stampate a caro prezzo, spesso realizzate da grandi fotografi come Marcello Norberth, venivano appese in ufficio creando giganteschi affreschi alle pareti dove si visualizzava la costellazione del cast. Facevamo gli incontri in un’altra stanza perché non si spargesse subito la voce sugli attori scelti. Quando non in scena gli attori sono spesso timidi, schivi, magari non brillanti, frequentemente vestiti in modo incongruo rispetto al personaggio che si cerca. Anche qui entra in gioco la sensibilità, l’intuito e la capacità del Casting Director, perché bisogna vedere “oltre” la persona che hai di fronte, magari intimidita oppure innaturalmente disinvolta. Senza contare delle spiegazioni preziose sulle caratteristiche del personaggio e di cosa sta cercando il regista, spesso imprevedibile, spesso tormentato o indeciso. Naturalmente ogni regista è diverso e ognuno ha un suo criterio per scegliere i “suoi” attori. A Marco Tullio, ad esempio, piace intervistarli, sapere cosa fanno, cosa leggono, che cos’hanno visto in teatro o al cinema. Raramente li mette subito alla prova, probabilmente cerca la chiave di un possibile modo di intendersi, di una reattività sulla quale contare se verranno scelti per il ruolo.
Oltre che il ruolo di Casting Director, nel film ricopriva anche quello di aiuto regista.
Sì, accanto a Cinzia Liberati segretaria di edizione, mentre Otello Ottavi e Fritz Ferrario erano assistenti alla Regia. Abbiamo girato per 24 settimane: a Roma, Firenze, Torino, Milano, Stromboli e la Norvegia: sei mesi, da febbraio ad agosto 2002, che andavano ben pianificati. Mi ero procurata un Productions Board realizzato artigianalmente a Los Angeles da Jack Cash. Ne andavo molto fiera perché in Italia ancora si usavano a questo scopo un unico grande foglio della tipografia ‘Corvo’ che toccava scrivere, cancellare e riscrivere a matita minuziosamente. Il Board pieghevole invece, che si apriva e chiudeva a fisarmonica era composto da tante striscioline di cartone giallo, bianco, blu e nero che andavano incastrate in una elegante cornice e consentiva di modificare il programma e l’ordine delle scene spostandole singolarmente invece che riscrivere ogni volta tutto da capo. I colori permettevano a colpo d’occhio di individuare le scene giorno/notte, esterno/interno, e qual si volesse altra identificazione. Per chiunque si occupi di pianificazione delle riprese di un film (per allora inusualmente lungo) era una grande novità e velocizzava la verifica di soluzioni al piano di lavorazione, che insieme a Gianfranco Barbagallo e Calosci fu una sfida appassionante. Oggi naturalmente questo processo si è evoluto ancora, immensamente, grazie ad alcune applicazioni davvero brillanti.
È stato il film culto di un’intera generazione. Cosa le è rimasto dentro di quell’esperienza, anzitutto della fase del casting, e poi del set?
Prima mi sono espressa in termini musicali, perché l’orchestrazione è per me il cuore dell’incarico di un Casting Director. Come far suonare insieme note così diverse e colorite per ogni sezione, dove ognuno è identificabile, ma al tempo stesso è in armonia o in contrappunto con tutti gli altri: una nota che deve essere armonica con la nota che segue. In questo La meglio gioventù riuscì a essere un’orchestra amalgamata alla perfezione, non solo per quel che riguarda gli attori in scena, ma anche dall’altra parte della macchina da presa, dove la passione e le sinergie di tutto il cast tecnico si sono rivelate eccezionali. A riprova di ciò, passati vent’anni, siamo rimasti tutti molto legati tra di noi, amici anche oltre il lavoro.
È di quest’anno l’annuncio che l’Accademia dei David di Donatello ha istituito il premio al miglior Casting. Sarà assegnato a partire dalla 70°edizione del David nel 2025. Questo riconoscimento fa dell’Italia uno dei primi paesi al mondo ad assegnare due premi distinti per la categoria, I David di Donatello e i Nastri D’Argento, collocandosi in linea con altre importanti premiazioni internazionali come i BAFTA, conferito dalla British Academy of Film and Television Arts e gli Emmy Awards per la serie TV negli Stati Uniti. Meglio tardi che mai?
L’ottenimento di questo obiettivo è frutto di un dialogo cominciato nel 2004 con la presidente del David di Donatello Piera De Tassis e la nostra associazione, l’Unione Italiana Casting Director, oggi presieduta da Laura Muccino e Francesco Vedovati. Composta da oltre 80 associati, ci siamo costituiti per dare rappresentanza alla nostra figura professionale chiedendone collocamento innanzitutto nel Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori dello spettacolo, da oltre 20 anni sul tavolo per il rinnovo. Oltre alla necessaria partecipazione al delicatissimo tema degli abusi diretti e indiretti ai quali attrici e attori possono essere esposti. Oppure ad apprezzare l’entrata in scena di nuove figure professionali quali l’Intimacy Coordinator contemplandone l’inclusione anche in fase di provini. Come UICD abbiamo voluto affermare principi etici a garanzia di trasparenza e serietà professionale e a costituire le basi per i percorsi formativi futuri.
La mini serie debuttava il 19 dicembre 1964, in prima serata su Rai Uno: Lina Wertmüller firma la regia delle 8 puntate in bianco e nero, dall’originale letterario di Vamba. Il progetto per il piccolo schermo vanta costumi di Piero Tosi, e musiche di Luis Bacalov e Nino Rota
Il capolavoro con Gene Wilder è uscito il 15 dicembre 1974: mezzo secolo di follia e divertimento targato Mel Brooks
Il 14 dicembre 1984 usciva nelle sale un film destinato, molto tempo dopo, a diventare cult
Il 10 dicembre 1954 esplode il mito popolare di Alberto Sordi, l’Albertone nazionale. È la sera della prima di Un americano a Roma