“Positivi i dati del box office italiano nel 2015, con il rilevamento del 93% delle presenze dell’intero mercato, un totale di biglietti venduti di quasi cento milioni (99.362.667) e un incremento dell’8,56% rispetto al 2014, con incassi totali di 637.265.704 euro”, si legge nella pagina di apertura della documentazione fornita all’incontro ‘I dati del mercato cinematografico 2015’, organizzato da ANEC, ANEM, ANICA e Cinetel, che ha fornito i dati di lettura, e a cui hanno partecipato il presidente Cinetel Michele Napoli, i presidenti delle associazioni di categoria (Carlo Bernaschi, Luigi Cuciniello e Riccardo Tozzi), Francesca Cima per la sezione Produttori ANICA, Andrea Occhipinti per le sezione distributori e Nicola Borrelli, direttore generale Cinema del MiBACT. “Un buon inizio dunque – dice Napoli – considerando anche l’aumento degli incassi del 10,78%”. Eppure per quanto riguarda specificamente il cinema italiano le cose non sembrano proprio andare in maniera rosea. La quota di mercato diminuisce al 21,35% rispetto al 27,6% del 2014, mentre è in crescita quella del cinema statunitense. E cresce, anche se di poco, il numero di film distribuiti che nel 2015 sono stati 473, a fronte dei 470 del 2014. Buon avvio anche per il 2016 grazie probabilmente al fenomeno Zalone: dal 1 al 17 gennaio sono stati registrati 14,9 milioni di biglietti staccati, +52, 59% rispetto al 2015, con un incasso di 103, 5 milioni di euro.
“E’ stato l’anno dell’arrivo in Italia dei nuovi mezzi di fruizione del prodotto, con particolare attenzione a Netflix – dice Tozzi – ed è positivo notare come la tendenza ad andare in sala non abbia subito scossoni. Parliamo di 100 milioni di spettatori, dunque un po’ come nel 2012, non male. Però emerge una tendenza negativa, ovvero, il mercato italiano non si espande. Resta inferiore ai 200 milioni della Germania e dei 160 dell’Inghilterra. Non si sfonda la barriera e dobbiamo capire perché. Dal 2013 continua a calare la quota di mercato. Poi, come nell’agricoltura, ci possono essere annate straordinarie e magari il 2016 grazie a Zalone sarà una di queste. Ma è la tendenza che ci interessa. Il numero di film italiano prodotti e distribuiti è di 194. La Francia ne produce circa 170. Come numero siamo il massimo produttore europeo. Però le risorse investite rimangono identiche: 300 milioni. Questo significa che il budget medio è sceso. Nel 2014 è di un milione e trecentomila euro. Probabilmente addirittura inferiore quello del 2015. La sala è un negozio molto particolare, a prezzo unico. Tutti i film costano la stessa cifra: Star Wars come il film di Checco Zalone, come il piccolo film indipendente. Il pubblico spende quei soldi e soprattutto quel tempo per prodotti che hanno un valore aggiunto. Non è solo il film, è l’esperienza che vogliono vivere in sala. Se cala il budget medio calano gli incassi, lo vediamo abbastanza chiaramente. Quindi il cinema ha ancora forza ma il suo potenziale è ridimensionato”. Bernaschi sottolinea soprattutto come “ci sia tendenza ad ammassare la distribuzione delle opere italiane sempre negli stessi periodi dell’anno. Prima era ottobre, poi la primavera, ora va di moda gennaio. Così il pubblico si disorienta. Il cinema americano offre tutti i generi e tutto l’anno”.
“L’impressione – aggiunge Francesca Cima – è che non tutti i film riescano a raggiungere il loro pubblico, magari anche per un’eccessiva velocità di transizione e un’offerta mal distribuita. Si pensa sempre che il pubblico faccia delle scelte, e le fa, ma a volte sono casuali e bisogna dargli il giusto tempo. E poi bisogna investire sul futuro, sui ragazzi. Per questo sto insistendo con Il ragazzo invisibile, di cui faremo il sequel. Non è vero che il prodotto per ragazzi o l’opera prima devono costare di meno, anzi. Il flusso andrebbe invertito. E non vale solo per il cinema ma per tutti i settori, la scuola, l’istruzione. Bisogna costruire il pubblico del futuro, che non è quello che arriva tra trent’anni, ma quello che arriva tra un anno o due”.
“Ogni film ha il suo budget – prosegue Occhipinti – il che non significa che bisogna solo fare film costosi, ma che ogni opera necessita il suo giusto investimento. Il Piccolo Principe, che ho recentemente distribuito con successo, è uno dei film d’animazione più costosi della storia del cinema francese, ma anche tra i più redditizi in tutto il mondo. Bisogna essere competitivi e avere un valore produttivo rilevante. E perché no organizzare eventi di promozione per il cinema in sala come Cinemadays, che è andato molto bene”. “Non diamo le date – prosegue Cuciniello – ma stiamo lavorando per averne almeno un paio, a ottobre e ad aprile. Gli spettatori vanno fidelizzati e non devono perdere interesse per il prodotto. Ma la riflessione va fatta insieme ad autori e produttori a monte, nel momento stesso in cui l’opera filmica è concepita”. “Questa mattina ho chiesto di pagare il caffè a chiunque avrebbe nominato Checco Zalone – chiude scherzosamente Borrelli – non per nulla, ho visto il suo film due volte, ma un sistema dove le annate vanno meravigliosamente o disastrosamente solo sulla base di un singolo film non funziona. Dobbiamo impegnarci per diversificare. Lo stato dal canto suo deve cercare di rendere il sistema più flessibile possibile, e di non considerare ogni film allo stesso modo. Ma la filiera deve lavorare per prendere di nuovo contatto con quella parte di pubblico che ti guarda male se parli di cinema italiano. Non torneremo mai a 800 milioni di biglietti venduti, bisogna farsene una ragione. Non esiste una soluzione semplice. Bisogna lavorare su più punti. E arrivare almeno a 130”.
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