MGM, 100 anni dopo il leone ruggisce ancora

L’avventurosa storia della Metro Goldwyn Mayer, una fabbrica di sogni


Il saluto di “Leo, the Lion” fa parte di quei segnali di Pavlov a cui qualsiasi appassionato di cinema reagisce d’istinto: in quel tondo sprofondato nel nero dello schermo con un leone ruggente al centro, intere generazioni di spettatori hanno cercato (e spesso trovato) quella che ci piace chiamare “magia del cinema”. È certo una semplificazione rozza, ma quando il leone ruggisce noi ci sentiamo “dentro” lo schermo e le nostre sinapsi parlano di emozione, soddisfazione, adrenalina, seduzione, sorriso e brivido, tutto insieme.

Il mito MGM nasce il 17 aprile 1924 quando un piccolo affarista newyorchese, Marcus Loew si siede a un tavolo della California con Samuel Goldwyn e Louis B. Mayer per proporre un fronte comune contro i rampanti del nuovo business cinematografico, Jack Warner, Darryl Zanuck, Adolph Zuckor. Nel decennio precedente Hollywood è diventata in fretta la terra promessa del nuovo genere popolare: tutti vogliono cinema, produttori e finanzieri hanno spostato i loro soldi al sole della California, l’impero di David Wark Griffith ha generato molti talenti e il cinema muto ha prodotto una generazione di registi e divi che ormai dominano l’immaginario. Anche l’industria e la finanza si sono accorte di questa inattesa miniera d’oro: passata l’epoca dei cow boys che si facevano ingaggiare per scoraggiare i concorrenti a colpi di pistola e incursioni a cavallo, si sta consolidando un sistema organizzato che metterà al centro della scena le “Cinque sorelle” (MGM, Warner, Paramount, 20th Century Fox e United Artists, poi rimpiazzata da RKO) e marchi minori destinati ad affermarsi come Universal, Disney, Columbia.

I cognomi dei tycoons che fanno grande Hollywood denunciano le loro provenienze: Loew è di origine ebraica come gli altri convitati al suo tavolo; altri vengono dalla mitteleuropa e fra tutti si fanno largo personalità diverse come il geniale Irving Thalberg che della MGM farà la fortuna alla fine degli anni Venti. Loew è diventato ricco, partendo da zero, grazie a una rete di piccole sale di proiezione dall’altra parte dell’America, sulla East Coast. Ma adesso  estende le sue ambizioni a Ovest, acquista terreni e laboratori, ha bisogno di partner che producano contenuti. Samuel Goldwyn e Louis B. Mayer conoscono il mestiere, hanno sotto contratto attori e tecnici, hanno idee, anche se più conservative del rivale Jack Warner. Col motto “da noi ci sono più stelle di quelle che puoi contare nel firmamento” Loew li convince ad associarsi; la sua Metro Pictures compra quote azionarie dagli altri due, mette Mayer a capo della struttura creativa e soprattutto assume il giovane talento Thalberg che è destinato ad apportare uno stile inconfondibile al marchio MGM.

Nei primi tempi è la qualità a fare la differenza con capolavori che non sempre rendono quanto costano (lo scempio di Greed di Von Stroheim, ma anche il Ben Hur di Fred Niblo con cui viene il primo Oscar). Nel giro di cinque anni però la lista delle produzioni (più di 100 in due anni) e il numero di star che vengono messe sotto contratto è impressionante: Greta Garbo, John Gilbert, William Haines, Joan Crawford e Norma Shearer (che seguì Thalberg dalla Universal). Grandi  protagonisti come Lon Chaney, William Powell, Buster Keaton, Wallace Beery furono strappati ai concorrenti così come registi del calibro di King Vidor, Clarence Brown, Erich von Stroheim, Tod Browning.

Intanto Loew era morto ancor giovane nel 1927 e la Warner aveva bruciato tutti nella corsa al sonoro con Il cantante di jazz. Thalberg fu però capace di far fronte alla crisi, acuita dal crollo della borsa nel ’29 e intercettò una nuova generazione di divi. Arrivarono Clark Gable, Jean Harlow, Spencer Tracy, Myrna Loy, Robert Taylor, Jeanette MacDonald tra gli altri. La MGM colmò in fretta anche il ritardo tecnologico: già nel 1928 presentava The Viking girato in Technicolor, sincronizzato per musica ed effetti, benché ancora senza dialoghi. Al ritmo di 50 produzioni all’anno, con una stupefacente capacità di diversificare il prodotto (la serialità de L’uomo ombra, le comiche di Hal Roach e Laurel&Hardy, il cinema dal taglio realista come La folla di Vidor o “Accadde una notte con Clark Cable, i  musical di Fred Astaire), nel ’39 era pronta al salto definitivo con i due più acclamati prodotti a colori, Via col vento e Il mago di Oz firmati in contemporanea da Victor Fleming. Garbo restò la star-simbolo della compagnia anche al tempo del sonoro, ma l’incessante capacità di adattarsi alle circostanze (ad esempio col riutilizzo dei set e la vasta produzione di B Movies a fianco dei kolossal) ne fecero l’unica major capace di restare in attivo per tutti gli anni Trenta.

Nel periodo della Seconda guerra mondiale, il marchio MGM fu associato a un’intensa produzione propagandistica, voluta personalmente da Louis B.Mayer, ormai tiranno-padrone della compagnia dopo la morte di Thalberg. Ma anche nel decennio successivo tutti dovettero fare i conti con la creatura di Loew, Goldwyn, Mayer che sfornava i più spettacolari musical (dopo Astaire era il tempo di Gene Kelly) e i sempreverdi cartoons dei Lonely Toons di Hanna & Barbera. La fine dei tycoons (Mayer fu addirittura estromesso dalla compagnia), l’incerta entrata nel nuovo mondo della televisione, le lotte fra boiardi per il controllo del potere, segnarono il declino delle produzioni MGM, capace però ancora di dettar legge nella distribuzione.

Il franchise del mito 007 a inizio anni ’60 diede ossigeno allo stagionato leone ruggente. La chiave di volta era stata però nel 1959 la scelta di un remake di Ben Hur con Charlton Heston protagonista: fu un successo planetario con un diluvio di ben 11 Oscar, seguito da spettacolari produzioni come Il dottor Zivago, La figlia di Ryan (entrambi firmati d David Lean), Quella sporca dozzina, 2001 Odissea nello spazio, Dove osano le aquile. Ma era anche l’inizio della fine perché il gigante malato faceva gola a investitori spregiudicati come Kirk Kerkonian che ne acquisì il 40% delle azioni nel ’69 portando il marchio MGM in territori inediti (hotel, casinò) e fece un proficuo spezzatino del Leone. L’ultimo hurrah è datato 1981 quando fu acquisita la library della United Artists creando il più importante magazzino di diritti cinematografici nella storia di Hollywood. Anche questa mossa però non ebbe vero successo e da allora tutto cambiò: Ted Turner prese il comando, fu poi la volta del breve regno dell’italiano Giancarlo Parretti, seguito da una ridda di fusioni, vendite ed acquisizioni conclusa nel 2022 dal passaggio sotto il controllo di Amazon che oggi può sfoggiare il marchio del Centenario per la sua divisione MGM/UA .

Il primo leone della MGM si chiamava Jackie e sopravvisse fino al 1956; a  più riprese fu rimpiazzato da Telly, Coffee, Tunner, George. Leo apparve nel 1957 e da allora ci accompagna, variamente ritoccato e talvolta anche stilizzato. Ma il suo mito, a veder bene, non è ancora invecchiato.

Giorgio Gosetti
14 Aprile 2024

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