VENEZIA – Nel 1982, poco prima di morire e poche settimane dopo aver partecipato come giurato alla 50. Mostra del Cinema, il regista Valerio Zurlini, autore, tra gli altri, di riconosciuti capolavori come Le ragazze di San Frediano (suo esordio del 1954), Estate violenta, La ragazza con la valigia e Cronaca familiare, premiato con il Leone d’oro nel 1962, consegna alla Libreria Antiquaria Prandi di Reggio Emilia,le pagine di un volume che verrà pubblicato nel 1983 in un numero limitato di copie. S’intitola Gli anni delle immagini perdute e raccoglie le note di un diario scritte dal novembre 1981 al maggio 1982 e, soprattutto, tre sceneggiature di film mai realizzati.
Oggi, con un’operazione insolita e originale, Adolfo Conti trae da quel diario un film documentario, presentato nella sezione Venezia Classici. Prodotto da Doc Art in collaborazione con Rai Cinema, Rai Teche, Titanus, Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con Francesco e Maria Zurlini e Regione Emilia-Romagna, il lavoro, interessante, ripercorre parzialmente la struttura del libro pur senza trasformarsi in un saggio storico: “Il problema principale – racconta Conti – è stato di natura narrativa. Zurlini scrive dal novembre del 1981 all’aprile-maggio dell’82, ma non procede in ordine cronologico, dalla nascita agli ultimi anni della sua vita. Il suo racconto è ‘a macchia di leopardo’. Noi abbiamo accolto la sfida di Valerio, mantenendo ilo racconto libero, sfruttando quello che in fiction si chiamerebbe ‘flashback’. Iniziamo dal ’63, poi torniamo indietro al ’51. E’ un continuo salto nel tempo, ma con strumenti quali didascalie e voci narranti abbiamo cercato di risolvere il tutto in modo che non fosse troppo disorientante per lo spettatore”.
L’incontro con Conti è anche l’occasione per parlare approfonditamente delle tre sceneggiature ‘perdute’ del talentuoso regista: “Si tratta di tre pezzi di cinema, molto diversi tra loro, che illustrano molto bene la poliedricità dell’artista. La prima, La zattera della Medusa, è una storia contemporanea, basata su una colonia di intellettuali americani, dai destini decisamente infelici, nella Roma della Dolce Vita, di cui subiscono la forza corruttrice. La seconda, La Via di Damasco, era tratta dal racconto L’Inchiesta, di Ennio Flaiano e Suso Cecchi D’Amico, che poi sarebbe stata portato al cinema da Damiani. La sceneggiatura di Zurlini presentava però una grossa novità, che non c’era in quella versione e nemmeno nel racconto. A condurre l’inchiesta sulla morte di Cristo qui era un certo ‘Saulo’ – naturalmente, è San Paolo – che poi attraverso quell’esperienza, a cui si era avvicinato come un poliziotto, scoprirà la fede nel Signore. Co-autore di questo progetto, assieme a Zurlini e Gigi Vanzi, era Giorgio Albertazzi. Infine, c’era Sole Nero, la storia del ‘boia di Albenga’, Luciano Luberti, un fascista che durante la Seconda Guerra Mondiale si era reso responsabile di sevizie nei confronti di 50 prigionieri partigiani, non aveva scontato la pena capitale e nel ’70 era risalito alla ribalta della cronaca perché considerato autore di un delitto passionale, l’assassinio della sua compagna. Per quest’ultimo progetto in particolare, molto controverso, non trovò mai un attore disposto a interpretare il ruolo. E questo soprattutto perché il film, in un’epoca di grandi scontri politici, affrontava la storia in maniera totalmente priva di pregiudizi, il che condizionò il rifiuto dei produttori e dei grandi intepreti a cui si era rivolto, che però lui stesso non ha mai nominato”.
E a Zurlini, schivo e riservato, questo documentario sarebbe piaciuto? “Io credo di sì – risponde Conti – Lui purtroppo morì prima di poter vedere pubblicato il suo libro, che uscì nell’83 in sole 300 copie. Ci fu una riedizione, tascabile e pregevole, ma monca, poiché mancavano le sceneggiature, laddove uno dei suoi obiettivi era proprio dimostrare che la crisi del cinema italiano non fosse dovuta agli autori, ma ad altro. Sono passati trent’anni dalla sua scomparsa e questo è il primo documentario in assoluto che gli sia mai stato dedicato”.
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