Wu Ming, l’atelier di narrazioni e mitografia che ha confezionato i best seller Q (firmato come Luther Blisset) e 54 (entrambi editi da Einaudi ma disponibili anche on line) esordisce nel cinema.
Due le sceneggiature in cui è impegnato il team di 5 scrittori con base a Bologna: la prima in ordine di realizzazione, a cui hanno lavorato soprattutto Wu Ming 2 (Giovanni Cattabriga, la voce di questa intervista) e Wu Ming 5 (Riccardo Pedrini), è un thriller che racconta la riemersione di Ferdinandea, l’isola vulcanica emersa e poi scomparsa nel Canale di Sicilia nel 1831.
A portarla sullo schermo sarà Luca Maroni, regista al primo lungometraggio che girerà nel 2003 prodotto da (h)films, casa di produzione milanese attiva in ambito pubblicitario.
Ancora da definire i tempi della seconda pellicola, ma è certo che a dirigerla sarà Guido Chiesa (Il partigiano Johnny) che ha trovato nell’instancabile quintetto il partner ideale per mettere in scena una sorta di “heist movie” nell’esplosiva Bologna del ’77.
In un’intervista alla rivista “Mucchio Selvaggio” Wu Ming 1 ha detto che il modo in cui scrivete romanzi è simile alla stesura di una sceneggiatura.
La somiglianza sta nel rapporto tra le scalette di lavoro e la scrittura del romanzo. Di solito parliamo di scene più che di capitoli e cerchiamo di immaginare in modo “visivo” ciò che accade. E’ qualcosa di simile a uno storyboard. Di volta in volta ci dividiamo le scene che ognuno dovrà “girare”, cioé i capitoli da scrivere. Quindi, dopo una session di lettura, ci scambiamo i diversi pezzi e ognuno interviene e modifica, taglia e incolla come in una sorta di frullatore linguistico che miscela il tutto fino a che i gusti non sono in perfetto equilibrio e lo stile ben amalgamato.
Che cosa è cambiato nel passaggio alla scrittura per il cinema?
Tra scrivere romanzi e scrivere sceneggiature c’è la stessa differenza che passa tra suonare la chitarra acustica e fare musica col computer. La sceneggiatura richiede una tecnica molto più codificata. C’è meno spazio per sviluppare la storia, tutto dev’essere giustificato, ogni battuta deve avere un senso preciso nella dinamica della narrazione e nello sviluppo dei personaggi. Infine, per quanto la regola “show, don’t tell” valga anche per la narrazione scritta, nel caso di una sceneggiatura la maggior parte delle cose non vanno dette ma mostrate.
Qualche anticipazione sul film diretto da Maroni?
I titoli provvisori sono Ferdinandea e La buona stella. Racconterà l’emersione dell’isola in concomitanza con un fatto di cronaca nera che coinvolge vari personaggi: un vulcanologo giunto sul posto per motivi di studio, un palazzinaro agrigentino, due giovani “mod” di provincia e una donna un po’ new age, convinta di voler partorire sulla nuova terra appena emersa dalle acque. Sarà un thriller, ma visto che ci piace mescolare i generi, si colorirà di venature grottesche.
Nella stesura qual è stato l’immaginario cinematografico di riferimento?
L’obiettivo era scrivere un film il meno possibile “italiano”. Ci siamo tuttavia rifatti a Sergio Leone e in parte anche al regista di La Capagira Alessandro Piva. Per la commistione tra thriller e grottesco, i riferimenti sono i fratelli Cohen di Fargo e Il grande Lebowsky più qualcosa di Kitano. Poi, ci sono riferimenti diretti a Quadrophenia.
Che visione del movimento bolognese del ’77 evocherà il film di Guido Chiesa?
A volte diventa protagonista ma il film non è né sul ’77 né su Radio Alice. Fulcro dell’azione è una tentata rapina ‘col buco’ alla Cassa di Risparmio, storicamente avvenuta pochi giorni prima dell’omicidio del giovane Francesco Lorusso. Un evento collaterale di un evento più grande, un po’ come l’assassinio di Peppino Impastato rispetto a quello di Moro. Del ’77 ci interessa l’esperienza di Radio Alice, con i suoi lampi di genio e le inevitabili ombre. Quella parte creativa e desiderante del movimento del ’77 che non smette di influenzare i movimenti di oggi e che invece troppo spesso è stata messa in ombra dagli episodi di sangue e dall’affermarsi della lotta armata.
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