William Friedkin: siamo vicini alla fine del mondo

Al regista de L’Esorcista e Il braccio violento della legge viene attribuito il Leone d’oro alla carriera della 70ma Mostra del cinema di Venezia


VENEZIA – Viene attribuito a William Friedkin il Leone d’oro alla carriera della 70ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Il rivoluzionario regista statunitense, sovvertitore delle regole dei ‘generi’ come ne L’Esorcista o Il braccio violento della legge (premiato con cinque Oscar), e autore di opere in anticipo sui tempi come Il salario della paura, Cruising, Vivere e morire a Los Angeles, Jade e il recente Killer Joe, passato proprio a Venezia due anni fa, è oggi protagonista di una vera e propria lezione di cinema. “Molti mi chiedono cosa significa battere Kubrick agli Oscar – scherza il regista in apertura – ma la verità è che Il braccio violento… era molto più divertente di Arancia meccanica. Il mio film preferito però, resta Il salario della paura. E’ il più personale ed è stato molto difficile da realizzare. Più di cinquanta persone, me compreso, si sono ammalate di malaria sul set. Siamo rimasti KO per un bel po’ dopo le riprese. Ma è il più vicino alla mia idea di cinema. Dal medesimo libro già esisteva un film di Henri-Georges Clouzot, che era grandissimo, ma il mio non è un remake. E’ una nuova versione. E’ come per le produzioni teatrali: se qualcuno mette in scena l’Amleto non parliamo di remake. Ci sono almeno 5 film tratti da Il grande Gatsby e ognuno è un film diverso. Per questo mi piace l’opera, sogno di mettere in scena il Rigoletto”.

Proprio Il salario della paura, tra l’altro, accompagna, in una versione restaurata, la consegna del premio. Nel futuro immediato, forse, una nuova collaborazione con Tracy Letts, che scrisse la pièce da cui era tratto appunto Killer Joe: “Sta riscrivendo Furore di Steinbeck – dice il regista – strano, perché di solito lavora su soggetti originali, ma sicuramente farà un ottimo lavoro. Ne vogliamo trarre un western contemporaneo”. Naturalmente, assolutamente indipendente. “Nelle mie storie non ci sono tizi in tuta di cuoio che intervengono a salvare il mondo, non c’è Batman, non c’è Superman. Ci sono solo uomini normali come me e voi. I miei film non si possono fare con una grande produzione dietro. Dicono che gli Studios falliscono? Non è un problema. La verità è che oggi si occupano soprattutto di distribuzione e che il cinema è cambiato. Si possono fare cose che quando ero giovane erano impensabili: chiunque può comprare una videocamera e mettersi al lavoro di editing sul suo pc, e poi mandare tutto online. Il mercato si è ampliato, in molti sono entrati nel mondo del cinema. Comunque la situazione non è così estrema: a Hollywood si fanno ancora un sacco di soldi. E’ un grande casinò, dove ogni fiche ha un numero ben preciso, e sulla base di quello si scommette. Comunque, a me non interessano i loro film di zombi e vampiri. Sembra strano, perché ho diretto L’Esorcista, ma vi stupirebbe sapere in quanti, al tempo, l’hanno rifiutato, perché considerato troppo di confine. Io lo reputo un bellissimo film sul potere di Cristo e sul mistero della fede. Non una metafora: è un film diretto. Io credo nel potere di Cristo anche se non posso dire di comprenderlo appieno. Ma se per secoli miliardi di persone hanno creduto in un uomo che a 30 anni è comparso dal nulla predicando per le strade, sulle spiagge, nelle sinagoghe, senza lasciar nulla di scritto, c’è un motivo forte. Sappiamo poco di lui, conosciamo molto di più quel che è accaduto dopo la sua morte di quel che ha fatto nella sua vita”.

I gusti cinematografici di Friedkin restano comunque sul versante classico: “Fondamentalmente – dice – guardo pellicole che già conosco, approfittando dell’uscita in Blu ray: Quarto potere, Eva contro Eva, Cantando sotto la pioggia”. Poi ci compiace citando un po’ di titoli italiani: “Diabolik, tutto Antonioni e in particolare Blow-up, Fellini e 8 1/2, mentre di nuovo conosco solo Sorrentino e Garrone”. E ancora i Fratelli Coen e il controverso A serbian film, che “trovo fantastico. Se non vi piace uscite subito dalla sala”.

Sul suo presunto rapporto burrascoso con Gene Hackman durante le riprese de Il braccio violento…: “Ah, se ne andasse al diavolo – scherza – quello sta meglio di tutti. Vive a Santa Fè, non lavora più, dipinge, scrive racconti, è in ottima salute. Ed è un mio amico, ovviamente. Ho avuto difficoltà con lui solo perché era difficile il suo personaggio. Dovevo tirargli fuori più rabbia possibile. Lo feci anche con Linda Blair: le chiesi quale era stato il momento più tragico della sua vita e lei mi rispose: “quando morì mio nonno”. Da allora ho usato questa informazione come memoria sensoriale. Questo è il compito di un regista, come se fosse uno psichiatra. Deve aiutare gli attori a calarsi nel personaggio: è l’attore che, a seconda dei momenti, deve diventare triste, allegro, buono o cattivo. Ad ogni modo, la performance di Hackman fu davvero eccellente”.

Ma qual è, per Friedkin, il ruolo del cinema oggi: “Brecht diceva che l’arte non è uno specchio per mostrare la società, ma un martello per trasformarla. Questo è il nostro compito: aiutare le persone a trovare il modo di accettare sé stessi e gli altri. Il salario della paura, ad esempio, è molto meno diretto de L’Esorcista: è una metafora che indica cosa accade quando le nazioni non vanno d’accordo – dice con riferimento alla Siria e a Israele – Il mondo è sull’orlo dell’estinzione. Abbiamo le armi nucleari e, mai come ora, un solo pazzo può mettere fine all’intera civiltà. L’America non può essere il poliziotto del mondo, nessun paese può. Tutti abbiamo dei governi, non possiamo fare ciò che ci pare, ma quando sento il mio governo che minaccia un altro paese io mi vergogno. Non ci saranno supereroi a salvarci, abbiamo bisogno di gente di carattere, coma Gandhi o Martin Luther King, di nuove leadership”.

Oggi, però, l’interesse dei giovani si è spostato dal cinema alla tv: “Non ne guardo molta – riflette il regista – ma in effetti, almeno in Usa, le cose più interessanti non le trovi in sala, ma sul via cavo: penso a I Soprano, Homeland, 24. Questo però danneggia le sale, non gli studios, perché tanto finanziano anche quello. Poi la gente si è abituata a vedere film sul pc, o sull’IPad. Certo sull’IPhone mi pare esagerato, anzi – riprende lo scherzo – se lo fate uscite immediatamente da qui, per favore. Io non so com’è in Italia, mi ricordo che un tempo il vostro cinema era assolutamente inarrivabile e ancora oggi quando vado a Roma o Firenze cerco di guardare film italiani e ne trovo di bellissimi”. Infine, regole e consigli per chi vuole diventare film-maker: “Saper collaborare e comunicare con il cast e la crew ed essere aperti alle loro idee: le cose più buone dei miei film vengono da idee altrui. Essere onesti con sé stessi: non raccontarci che qualcosa funziona quando sappiamo che non è così. Bisogna sempre arrivare al punto di dire: questo è il meglio che si poteva fare. Ma soprattutto, la cosa più importante ai giovani: se state frequentando una scuola di cinema, scappate subito. Prendete una videocamera e iniziate a girare, mettete il film sul web. Fregatevene delle critiche, puntate al pubblico. Nessuno può insegnarti a fare cinema. E’ una cosa che si impara facendola e guardandola. Imparate a vedere i film, soprattutto quelli di Hitchcock, non solo come regista di suspense. Sa fare ogni genere: dalla commedia al romantico. Quando James Stewart, durante la lavorazione de La finestra sul cortile, chiese al maestro come doveva reagire alla vista dell’omicidio, lui gli rispose con nonchalance: “Ah… fai quello che hai sempre fatto in questi casi!”

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29 Agosto 2013

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