Wenders, Adamo ed Eva in 3D

Wim Wenders è in concorso a Venezia 73 con Les beaux jours d'Aranjuez, suo primo film in lingua francese e ritorno alla storica collaborazione con lo scrittore austriaco Peter Handke


VENEZIA – Adamo ed Eva in 3D in una sorta di giardino dell’Eden rohmeriano. Wim Wenders è in concorso a Venezia 73 con Les beaux jours d’Aranjuez, suo primo film in lingua francese e ritorno alla storica collaborazione con lo scrittore austriaco e amico di vecchia data Peter Handke (Il cielo sopra Berlino è il loro capolavoro). Proprio sulla sua pièce teatrale omonima costruisce un divertissement che si apre con il personaggio seduto di fronte a una vecchia macchina da scrivere. Ben presto la fantasia dello scrittore (interpretato da Jens Harzer) accende due personaggi, un uomo e una donna, che dialogano seduti nel bellissimo giardino della villa, di fronte a una mela posata su un tavolo. Reda Kateb e Sophie Semin (ex moglie di Handke a cui lo scrittore ha dedicato questa pièce) parlano d’amore e di sesso, senza mai riuscire a colmare le divergenze tra maschile e femminile. In particolare è l’uomo a interrogare la donna cercando di carpirne i segreti, dalla prima volta che ha fatto l’amore alle successive relazioni. Lei mostra una certa reticenza ad aprirsi fino in fondo ma ogni tanto “regala” al partner qualche rivelazione sui suoi sentimenti a dir poco ambivalenti verso l’altro genere. E la pacata conversazione è interrotta dai ripensamenti dello scrittore che ascolta qualche canzone dal suo vecchio juke box Wurlitzer, tra cui Perfect Day di Lou Reed. A un certo punto appare in scena anche Nick Cave seduto al pianoforte.

”E’ dalla differenza tra uomini e donne che comincia la storia dell’umanità – spiega Wenders ai giornalisti – Di fronte alla mela del paradiso terrestre parte la storia eterna che dura da sempre. Una storia che ha causato guerre, ma anche la cosa più bella di tutte: l’amore. Il film è solo una possibile manifestazione di questa differenza. Non dà risposte, ma è un continuo interrogarsi”.

Wenders torna al 3D che ha già sperimentato più volte, ad esempio nel documentario su Pina Bausch e nel recente Ritorno alla vita in base alla sua convinzione che non sia una tecnica riservata alle immagini più spettacolari ma sia utile anche ad esprimere i sentimenti. ”Volevo rappresentare il paradiso in questa casa a pochi chilometri da Parigi appartenuta a Sarah Bernhardt, volevo che il pubblico sentisse insieme a me il soffio del vento tra le fronde e gli uccellini che cantano. Ho già utilizzato questa tecnologia così delicata, corrisponde in fondo ai nostri due occhi, ma mai ero riuscito a ottenere un tale senso di pace. E stato come prendere per mano lo spettatore”.

Gli chiedono se condivida l’ottimismo del direttore della Mostra, Alberto Barbera, sul futuro del cinema: “Abbiamo bisogno di ottimisti e quindi spero che abbia ragione. Penso che il cinema sia un luogo sempre più privilegiato, l’unico luogo sulla terra dove possiamo accompagnarci a un narratore, senza rispondere agli sms, navigare in internet, essere bombardati dalle cose. E’ una rarità ormai, un luogo di verità e di pace. Spero che il cinema resti con noi, come arte e come luogo. Oggi i ragazzi vedono i film su piccoli monitor. Non possiamo prendercela con loro e anzi sono contento che guardino i miei film in qualche modo, ma mi chiedo che senso abbia fare tanto lavoro per un’opera che non sarà vista su uno schermo vero. Tutti abbiamo bisogno di storie e il cinema è il luogo dove le storie possono trovare un senso”.

E’ la prima volta che gira in francese. Come mai? “E’ una lingua di grande bellezza ed eleganza. Ci sono cose che in tedesco suonano pesanti, ma in francese no, loro hanno la leggerezza dell’essere che forse solo l’italiano ha. E poi il cinema francese ha avuto un’influenza enorme sulla mia vita”. Cita Eric Rohmer, che ha fatto molti film in giardino. E sottolinea gli omaggi a Peter Handke presenti nel film, dal Saggio sul juke box a Nei colori del giorno, un piccolo libro bellissimo dedicato al massiccio della Saint Victoire e ai dipinti di Cezanne.

A produrre Les beaux jours d’Aranjuez è stato Paulo Branco, collaboratore da decenni. Che racconta: “Ho conosciuto Peter Handke proprio qui a Venezia 34 anni fa, era l’anno del Leone d’oro a Lo stato delle cose, il 1982. Festeggiammo insieme il premio e nacque un’amicizia profonda che ci portò a fare Lisbon Story. Anche questo film è la storia di un incontro tra noi e non credo che sia nostalgico. Dà una dimensione cinematografica a un testo sublime. È attuale, parla di noi in questo momento. E il 3D dà un tocco particolare al film. Ti trasporta in un altro mondo”.

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