A quarant’anni dal 30 aprile 1982, giorno in cui il segretario regionale del PCI Pio La Torre venne massacrato da un commando mafioso insieme al suo autista e amico Rosario Di Salvo, Walter Veltroni racconta la storia di questo efferato omicidio di mafia e la biografia del politico comunista nel documentario Ora tocca a noi – storia di Pio La Torre. Special Screening alla Festa di Roma e in onda a dicembre su Raitre, il film si muove tra documentario e finzione. L’infanzia e la giovinezza di Pio sono infatti sceneggiate da Monica Zapelli (I cento passi, L’arminuta) e le due età sono interpretate, rispettivamente, dal piccolo Davide Amato e da Moisé Curia.
Il documentario si apre con la testimonianza del presidente Sergio Mattarella e raccoglie voci importanti, da Giuseppe Tornatore che era nella sede Rai di Palermo il giorno dell’attentato all’attuale Procuratore Capo di Palermo Maurizio De Lucia, dall’ex capo della Squadra Mobile di Palermo Francesco Accordino alla figlia di Rosario Di Salvo, Tiziana, al figlio di Pio, Franco La Torre.
Emanuele Macaluso racconta di quando Pio, quasi presagendo la sua fine, gli disse “ora tocca a noi”. Frase che dà il titolo al film, agghiacciante e puntuale nell’accostare a questa uccisione, le tante perpetrate contro uomini di legge, giornalisti e politici negli anni ’80 e ’90. Pio nasce in una famiglia di braccianti ma è determinato a studiare per se stesso e per gli altri. Sindacalista e uomo politico, sue le parole più toccanti al funerale di un’altra vittima di mafia, Piersanti Mattarella. Suo l’impegno in battaglie ambientali, su tutte quella contro la centrale nucleare di Comiso. Suo lo stimolo alla legge n. 646, del 13 settembre 1982, nota come Rognoni-La Torre, che introdusse per la prima volta nel codice penale il reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.
Il film è prodotto da Gianluca Curti e Santo Versace per Minerva Pictures, insieme a Rai Documentari e Luce Cinecittà, con il contributo di Rai Teche. Per Luce Cinecittà Enrico Bufalini sottolinea l’impegno sia economico che in postproduzione e con materiali dell’archivio, per un film importante perché “racconta una personalità rilevante nella lotta contro la mafia, autore di una legge che ha dato risultati fondamentali, barbaramente ucciso”. Non mancano nella linea di Luce Cinecittà altri titoli apparentabili, come Black Mafia sulla criminalità nigeriana a Torino e Napoli, Amate sponde sui temi delll’ambiente o La giunta sull’esperienza di Maurizio Valenzi, sindaco di Napoli dal ’75 all’83, che vedremo al Festival di Torino.
Veltroni, che ricordo personale ha di Pio La Torre?
Lo conoscevo bene, sono amico dei figli, in particolare Franco ha lavorato con me, conoscevo quindi non solo l’immagine pubblica ma anche il carattere privato di Pio e questo mi ha agevolato nella ricerca. È stato ucciso perché era quello che dava più fastidio alla mafia, come spiega nella sua confessione il suo killer. Pio aveva intuito che seguire i soldi, ovvero gli arricchimenti illeciti, era il modo per smascherare i mafiosi e l’area grigia che spalleggia la mafia. Nella sua battaglia per Comiso dava fastidio a tanti interessi. L’assassinio nasce quindi anche in ambienti politici, in particolare dalla volontà dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino.
Che persona era Pio?
Un eroe non consapevole di essere tale. Con il suo carattere forte, gli occhi dardeggianti, era inarrestabile, aveva dentro di sé un fuoco legato alla politica nella sua forma più alta.
Una politica che non esiste più. Il film racconta anche un pezzo di storia del Pci, un partito all’epoca di grandi battaglie ideali e di fortissimi legami personali.
E’ cambiato completamente il contesto, in tutto il mondo. Ma è vero che la storia di Pio racconta un partito comunista che era una comunità di persone, con sentimenti comuni molto forti al di là delle contrapposizioni. Il dolore di Emanuele Macaluso è il dolore di un’amicizia nata nell’esperienza di una battaglia civile e politica. È il racconto anche di quella comunità che in Sicilia era molto esposta.
Oggi la mafia è diventata invisibile, ma non meno pericolosa.
E’ vero, è sommersa, la piovra ha allargato i suoi tentacoli in economia, nella finanza, nel controllo degli appalti. Non sparge più sangue ma i soggetti mafiosi sono diventati nazionali e internazionali e questo viene sottovalutato. Non basta prendere Messina Denaro, bisogna tagliare i tentacoli, gruppi di persone che si mettono in relazione con la politica, l’imprenditoria, la finanza.
In quegli anni il numero degli omicidi di mafia è impressionante.
Mille morti è il bilancio di una guerra in cui caddero politici, magistrati, poliziotti. E’ stata una mattanza che è durata per un periodo infinito fino al ’92/93 con l’omicidio di Falcone e Borsellino e le stragi.
Perché il titolo: Ora tocca a noi?
E’ una citazione di una frase pronunciata da Pio che, rivolgendosi a Macaluso, predisse quasi la sua morte. Ma vuole anche indicare che c’è una bandiera da raccogliere. Lo fa, ad esempio, la cooperativa Libera Terra che vediamo nel finale: incarnano gli ideali di Pio nel coltivare le terre sottratte alla mafia e sono vittime di attacchi da parte dei mafiosi.
Come ha lavorato sui materiali di repertorio?
Ci è voluto un anno e mezzo per fare questo film, cercando in archivi Rai e tv locali siciliane e nell’Archivio Luce. Poi ho cercato di ricostruire la sua vita attraverso la finzione, l’infanzia di figlio di braccianti che decide di studiare e si mette le scarpe da donna della zia per camminare chilometri fino alla scuola. Oppure il momento in cui viene arrestato: il primo figlio nasce mentre lui è all’Ucciardone. Il Luce ha garantito la postproduzione, oltre ad alcuni materiali.
Veltroni, la sua scelta di abbandonare la politica attiva è irreversibile?
La risposta a questa domanda è semplice anche se non indolore. Ho ritenuto che fosse finita la mia stagione dal punto di vista dell’impegno e continuo a pensarlo, ho ottenuto risultati importanti ma non si poteva più andare nella direzione in cui volevo. Però fare un film così vuol dire continuare l’impegno civile. Da ragazzo ho maturato le mie convinzioni politiche leggendo Primo Levi, Cassola o Pavese e andando al cinema, vedendo i film del neorealismo, il cinema americano sulla guerra del Vietnam, anche la commedia italiana.
La Festa di Roma è una sua creatura come ex sindaco di Roma. Come la vede oggi, diciassette anni dopo?
Ne sono contento, somiglia a quello che pensammo quando la facemmo nascere. Volevamo che fosse un elemento identitario di una città che ha tra le sue vocazioni proprio il cinema. Se chiedi a un cittadino del mondo due nomi legati al cinema ti dirà Hollywood e Cinecittà. Quando vedo i ragazzi affollare l’Auditorium di Renzo Piano penso che sia stato giusto farla nascere.
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