Tempo di listini. Per sfatare le fosche voci degli ultimi mesi, il Cecchi Gori Group, seguendo i buoni consigli della McKinsey, tenta il rilancio come industria dell’entertainment: dal cinema all’home video, dalla televisione allo sport (nonostante l’impasse della Fiorentina negli ultimi mesi, da cui è partita la crisi della società). Con molti richiami alla tradizione del casato e uno spettro che si aggira per l’Europa – la mai nominata Rita Rusic – il Gruppo diventa società per azioni. Marco Duradoni è il nuovo amministratore delegato, presidente, naturalmente, Vittorio Cecchi Gori. Confessando le difficoltà delle televisioni, che tuttavia ad aprile e maggio “hanno chiuso in pareggio”, il patron di Tmc punta l’indice contro l’Auditel, che, spiega “o è truccato o è un sistema obsoleto. Le rilevazioni dell’audience televisiva dovrebbero essere fatte da un ente imparziale come l’Istat. L’Auditel è come il tasso d’inflazione, è un indicatore troppo importante per l’industria, specie in un sistema di duopolio come quello italiano. Solo la pay per view potrà liberarci, e dare al cinema italiano le entrate che gli servono per produrre anche film dal budget pesante come Canone inverso. Oggi, invece, con il sistema attuale, noi siamo taglieggiati dal prezzo politico a cui Rai e Mediaset impongono di vendere i film. Serve una riforma, e anche il capo dello Stato è d’accordo”.
Ma per la riforma serve tempo. Intanto, che cosa pensate di fare?
Produrre film di successo, in una situazione del genere, serve anche ad alzare il proprio potere contrattuale. Il senso del passaggio al 2000, per il nostro cinema, sta, oltre che nel produrre film, nel valorizzare gli autori. Questo è il primo punto chiave del nostro programma; altri due sono la costruzione di multisale, specie lì dove ci sono dei nuovi bacini da sfruttare e la promozione del teatro come palestra di nuovi attori e comici. Noi a Roma abbiamo fatto una grande scommessa con l’Adriano, che adesso ci sta ripagando: in 4 mesi abbiamo totalizzato 350.000 presenze. Per ora, stiamo puntando sui film di Infascelli (Almost blue), Tavarelli (Qui non è il paradiso), i Manetti Brothers più Verdone (Zora la vampira) e Salvatores (Denti), per i quali siamo in attesa del responso della Mostra di Venezia.
Quali sono gli altri progetti italiani in cantiere?
Gianni Amelio è stato fermo per un po’. Ora abbiamo ripreso i rapporti con tre bellissimi progetti di respiro internazionale. La lista nera è tratto da un romanzo postumo, incompiuto, di Dürrenmatt, Il pensionato, e il copione è di Rulli e Petraglia. Anche il secondo progetto è un adattamento, Il banchiere dei poveri da Mohammed Yunus, e sarà un grande film di spettacolo, con risvolti sociologici. Del terzo per ora non parlo.
Roberto Benigni sta pensando adesso a che cosa farà. Ma con Nicoletta Braschi e la Melampo annunciamo il nuovo film di Daniele Luchetti, che inizierà le riprese a settembre.
Paolo Virzì, invece, è in ritardo, perché ha deciso di cambiare sceneggiatura. Poi ci sono i nuovi comici, Paci, Mammucari, il ritorno di Carlo Vanzina che non lavorava con noi dall’83, il mio progetto di un grande affresco della commedia italiana…
Come vanno i rapporti con la Miramax?
Abbiamo distribuito per anni i film della Miramax, e abbiamo fatto sì che avessero un grande successo. Come del resto hanno fatto loro con noi. Ci sono stati dei problemi, si stanno chiarendo, e credo che le cose si risolveranno in bene. Del resto, non abbiamo mai avuto grandi beghe processuali, abbiamo sempre pagato tutti, anzi, semmai siamo stati noi a non essere pagati… Ma in Italia, purtroppo, è molto comune.
Della privacy sul privato non si cura, Vittorio Cecchi Gori, ma del segreto industriale sì. E anche se dichiara aperta la caccia al socio, strategico o finanziario che sia, (ma “rigorosamente di minoranza”, precisa), si rifiuta di confermare i nomi che girano: Enel, Telefonica, Wind. Forse l'”apriti Sesamo” starà in quella sigla di 4 lettere, che ancora si sente poco in giro, UMTS.
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