“Ad un certo punto della mia vita, a mia insaputa, devo aver deciso di dimenticare, non dimenticare i dolori o gli errori, ma dimenticare i fatti, le persone. Forse solo confondere tutto, sono certa di aver dimenticato tutta la mia parte. E questa volta non ho dimenticato solo il personaggio ma anche l’interprete”. Con queste parole di Monica Vitti si chiude il documentario a lei dedicato e diretto da Fabrizio Corallo, già autore di film su Sordi, Gassman, Risi, Montaldo. Vitti d’arte, Vitti d’amore presentato alla Festa di Roma, verrà trasmesso da Rai3 venerdì 5 novembre in prima serata, in occasione dei 90 anni di questa protagonista di capolavori di maestri come Antonioni, Monicelli, Risi, Scola, Steno, Buñuel e Losey.
In questo documentario, sostenuto da Rai Documentari e prodotto da Dazzle Communication e Indigo Film, la vita e la carriera, della grande attrice vengono ripercorse attraverso le voci di chi l’ha conosciuta e ha lavorato con lei, con lei si è trovata a dividere un set o un passaggio di vita: Michele Placido, Enrico Vanzina, Citto Maselli, Barbara Alberti, Laura Delli Colli, Enrico Lucherini, Christian De Sica, Carlo Verdone, Pilar Fogliati, Sandro Veronesi, Eleonora Marangoni, Paola Cortellesi, Giancarlo Giannini. E con loro i critici Masolino D’Amico, Goffredo Fofi, Valerio Caprara, la giornalista Gloria Satta.
Il titolo richiama un’aria della “Tosca” e una puntata televisiva del 1966 di “Studio Uno” tutta dedicata alla Vitti, un varietà Rai nel quale il conduttore Lelio Luttazzi, presenta con un ironico gioco di parole l’attrice: “Vitti d’arte”, “Veni, vidi, Vitti”, “la dolce Vitti”. “Roberto Russo, marito dell’attrice, subito ha dato il suo assenso convinto al documentari- dice l’autore Corallo – ha collaborato dando tre film, i due da lui diretti, Flirt e Francesca è mia, e l’esordio da regista di Monica, Scandalo segreto, oltre a numerose fotografie. Come sempre non ha derogato al riserbo che lo caratterizza, non ha voluto essere intervistato e non assisterà alla proiezione del film alla Festa di Roma”. Il film s’avvale dei preziosi materiali delle Teche Rai, dell’Archivio Luce e di Mediaset. Così come fondamentali per il ritratto umano di Monica sono stati i suoi due romanzi “Sette sottane” e “Il letto è una rosa”, i cui brani scelti accanto a dichiarazioni fatte in occasioni pubbliche sono letti dalla voce narrante di Pilar Fogliati.
“Di Monica mi ha colpito il suo essere trasversale nel mondo dello spettacolo, dal teatro alla televisione passando soprattutto per il cinema. La sua capacità di essere ugualmente credibile sia sul versante brillante, che ha sempre coltivato fin dai tempi dell’Accademia, sia su quello drammatico – spiega il regista – Credo poi di aver capito che lei abbia avuto un’infanzia e un’adolescenza piuttosto tormentate tanto da affermare che la spinta di frequentare l’Accademia d’arte drammatica le fosse venuta dalla decisione ferma della famiglia di non lasciarla contaminare dall’ambiente dello spettacolo. Mi ha colpito la dedizione totale al suo mestiere, dedizione che mostrava anche nella vita perché era lei a scegliere i progetti, ma portando sempre con sé, fin da ragazza, una sorta di vulnerabilità e disagio che cercava di compensare con il coinvolgimento pieno nella professione”.
Al centro del docu-film vi è il talento unico di un’antidiva per eccellenza, la cui carriera comincia sul palcoscenico e nella sala di doppiaggio, per poi imporsi come protagonista e musa dal cinema impegnato di Michelangelo Antonioni. “L’avventura è nata con me, è una storia legata a me e ad Antonioni… mi sono accorta di me attraverso Michelangelo, per come mi guardava”, racconta la Vitti. Per il critico Masolino D’Amico quel cinema le era abbastanza congeniale “essendo nella vita una persona fragile, anche se aveva tutta un’altra personalità che questo cinema reprimeva”. Il passaggio dai ruoli drammatici a quelli brillanti le viene così naturale da affermarsi in poco tempo “mattatrice” della commedia all’italiana, capace di tener il passo con interpreti famosi come Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e Nino Manfredi.
Da sempre in Italia le attrici comiche erano delle caratteriste, lei è stata la prima attrice giovane comica piacente. “Per raggiungere le sue mete si legava molto ad alcuni sceneggiatori che scrivevano testi che andavano bene per lei, a registi che la valorizzavano, a direttori di fotografia che bene la inquadravano”, afferma ancora D’Amico. La parte finale del documentario si concentra su un’ennesima trasformazione di questa artista che non ha mai smesso di stupire e che concluderà la sua carriera esordendo nella regia cinematografica dopo aver cosceneggiato i due precedenti diretti dal marito.
Poi il ritiro dalla scena e dalle apparizioni pubbliche, protetta e assistita da Roberto Russo che, come ricorda la giornalista Gloria Satta, “ha sempre avuto un’attenzione totale nei confronti di Monica, l’ha sempre preservata dalla curiosità della gente e a lei si dedica a tempo pieno”.
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