Amico e collaboratore del festival, studioso di cinema, ma anche sceneggiatore e regista, Vito Zagarrio ha scelto la Mostra di Pesaro per il primo incontro tra il suo terzo film, Tre giorni di anarchia, e il pubblico vero, quello della Piazza. “Meglio evitare il calderone di Venezia, dove se non hai una grossa distribuzione alle spalle, ci sono poche chance”, ci spiega. Così il suo film, un fondo di garanzia rimasto bloccato per lo stop dei finanziamenti alla distribuzione nel 2004, avrà un’anteprima siciliana e un’uscita a settembre con la Thule. Ma Pesaro è davvero una scelta del cuore. “Lo proiettiamo nella giornata dell’omaggio a Lino Micciché, uno dei miei maestri, a un anno dalla scomparsa, e anche questo fa parte di un aspetto personale e molto sentito di questo lavoro che ho voluto dedicare a mio padre Peppino Zagarrio”. Peppino si chiama anche il protagonista di questa favola di amore e d’anarchia, che si concentra nei tre giorni del ’43 che seguono allo sbarco degli alleati in Sicilia, quando un intero paese vive un momento di libertà e progettualità e un giovane grecista fresco di laurea sperimenta la politica e la passione, diviso tra due donne ma anche tra scelte contrastanti e visioni del mondo contrapposte che tentano di sedurlo e tirarlo dalla loro parte.
Consideri “Tre giorni di anarchia” un film storico?
Lo considero soprattutto una favola sulla rivoluzione dello spirito e dell’anima, sul sogno della libertà e sull’utopia, anche se c’è una sorta di sintesi della storia siciliana negli anni che vanno dal 1943 al ’48: la liberazione, l’indipendentismo, l’occupazione delle terre, i movimenti utopici del dopoguerra. In un certo senso si arriva anche oltre, fino all’Irak di oggi, perché la statua di Mussolini decapitata fa pensare a quella di Saddam.
Hai lavorato molto sul cast, che comprende giovani attori come Enrico Lo Verso e Marica Coco, e grandi classici come Carpentieri e Burruano, ma anche un outsider come Nino Frassica.
Lo Verso l’ho voluto da subito, mi piaceva ribaltare l’uso che ne ha sempre fatto Amelio, di figura un po’ mesta, e tirarne fuori il lato solare, quello del donnaiolo. Anche Nino Frassica l’ho usato in controtendenza, per la prima volta in un ruolo drammatico.
A un certo punto viene proiettato un film di Tom Mix nella piazza del paese.
Sì, Lo sceriffo. Per me Tom Mix rappresenta il cinema americano che ho amato attraverso mio padre, ma volevo anche esprimere il mio doppio rapporto con l’America: che è un mito letterario e cinematografico, ma anche una potenza imperialista che critico in politica estera.
Pensi che il film potrebbe piacere a quel pubblico americano che ha tanto amato certe rappresentazioni della Sicilia alla Tornatore?
Beh, qui non ci sono certo gli alleati accolti con i mazzi di fiori e che regalano cioccolata alla folla. Ma c’è una figura positiva, quella del soldato americano ferito, che rimanda a tanti lasciti cinematografici, da Rossellini in avanti. Ancora una volta emerge questo doppio rapporto con l’America.
So che avete avuto problemi con la distribuzione.
Abbiamo fatto ricorso al ministero per ottenere i finanziamenti promessi, ma nel frattempo andiamo avanti per la nostra strada e siamo disposti comunque a distribuire il film, magari porta a porta. È un film in cui credo molto, di cui sono anche coproduttore: non ci siamo fatti mancare niente, dalle comparse agli autoblindo, ho usato il cinemascope e lavorato con un direttore della fotografia come Pasquale Mari, con un bel cast e tanti collaboratori importanti& penso che meriti attenzione.
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