Drunk – Un altro giro è stato premiato come Miglior Film Straniero ai recenti Academy Awards: l’opera di Thomas Vinterberg era in selezione alla Festa del Cinema di Roma dell’autunno 2020, occasione d’incontro con l’autore e il protagonista Mads Mikkelsen, insieme al collega Magnus Millang.
Kierkegaard, la giovinezza e il sogno. Così, citando il filosofo danese, s’apre il film del regista conterraneo dell’intellettuale.
Un calice di bollicine (per aprire una cena). Un bicchierino di vodka (per accompagnare un piatto). E uno di rosso di Borgogna a seguire: l’alcool entra gradualmente in scena, fino poi a strutturarsi quale co-protagonista, seguendo la particolare teoria di Skårderud, secondo cui l’essere umano nasce con una minuscola dose di alcol nel sangue, tanto che un’assunzione costante dello 0,05% di vino, laddove capace di generare moderata ubriachezza, stimolerebbe la mente in maniera dinamica, migliorerebbe lo stato d’ansia e le prestazioni socio-professionali; così comincia il “gioco di squadra” di quattro amici, che, con lieve spirito cameratesco, ma più d’indagine – e soprattutto di salvezza, credono, dalla quotidianità spenta – si autocandidano a soggetti dell’esperimento, dapprima propulsore di benessere, tanto da stimolarli ad aumentare sempre più il dosaggio alcolico, fino a quando si rendono conto dei possibili effetti nefasti dello stesso.
“Essenzialmente ho cominciato ad analizzare alcune figure storiche, rendendomi conto che molte persone che bevevano – Hemingway, Churchill, ndr – erano talvolta uniche, hanno raggiunto risultati ragguardevoli. Ma l’alcool può anche distruggere, così abbiamo allargato il tema verso il senso della vita: volevamo celebrare la vita. Scrivere questa sceneggiatura mi ha liberato. La grande abbuffata l’abbiamo visto, così Fight Club e Husbands di Cassavetes: nella testa sembrava frullarci qualche film italiano”, spiega il regista. Infatti: “Mikkelsen (Martin) continua a ripetermi che ho fatto un film italiano, cosa che m’intriga! Forse c’è un pizzico di italianità, ammiro Pasolini, Fellini, e chissà, forse c’è un rapporto con quei maestri. Drunk non è una commedia, ma è difficile definirlo, però spero parli della vita in modo da trovare l’ispirazione per vivere: è divertente, ma si parte dalla tragedia delle persone. Il finale, per me, definisce il film: Martin cade? Vola? Per me vola, ha ripreso tra le mani la propria vita, e sta per riprendere a volare”, aggiunge Vinterberg, che così fa subito spazio al ruolo interpretato da Mads Mikkelsen, un professore di Storia al liceo, dapprima messo in discussione nel suo ruolo didattico e poi all’interno del nucleo famigliare, e di cui – per tutta la durata del racconto – s’attende dia libero sfogo alla sua passione di ballare, metafora di libertà e liberazione.
“La scena di ballo finale c’è sempre stata in sceneggiatura: io ero un po’ restio dapprima, perché è un film realistico e il rischio era sembrare pretenzioso, ma mi sono arreso e Thomas aveva ragione: è il finale migliore che abbia mai interpretato. Vinterberg mi ha parlato del progetto quanto era ancora un’idea, e non erano quattro insegnanti, il mio lavorava in una torre di controllo: Thomas ha la capacità di mettere persone comuni in situazioni poco comuni, per questo ci tocca. I film italiani che possono aver ispirato rendono omaggio alla vita, anche se esplorano l’oscurità, perché vanno oltre questa”, riflette l’attore danese, in scena con altri tre interpreti, tra cui Magnus Millang.
“La prima volta che ho letto la sceneggiatura è stato amore a prima vista: una storia solida e valida, da girare subito! Capivo bene la ritualità del bere che può nascere nel quotidiano, e sappiamo tutti che sensazione si provi a bere un bicchiere di vino: la filosofia del film è che ogni volta che ti svegli devi essere conscio di guardare le persone a cui tieni”, dice Millang, per cui, da attore: “La parte più difficile era risultare completamente sbronzo, perché il rischio era cadere nel ridicolo, non volevo apparire come una macchietta, era importante cercare di evitare il rischio”.
Riflessioni a cui segue ancora Vinterberg, che chiarisce che in scena non hanno recitato assumendo alcool, ma qualche prova così è stata fatta: “Quando faccio un film, comunque, non nasce mai da un dibattito politico o di genere. La mia consorte reale – che interpreta la moglie di Magnus – è anche un prete in Danimarca e lei dice che il film tratta di ciò che è incontrollabile, come quando ci si innamora, il ‘fall in love’ inglese, il ‘cadere’ nell’amore: succede qualcosa al tuo corpo di non programmabile, non misurabile. Credo che questo nel film sia più importante, dell’alcoolismo. Per il pubblico penso sia uguale, perché viene percepito come commovente, per la lotta dei quattro uomini per la vita. I due personaggi femminili, poi, una donna più giovane – mia moglie nella vita appunto – è molto aperta: finché Magnus non se la fa sotto a letto, lei è flessibile e il loro rapporto è migliorato in fondo, perché non è diventato un tran tran; la moglie di Mads, di mezza età, è una di due anime sole, entrambi hanno perso la voglia di esplorare insieme, hanno nostalgia dell’altro”.
Il film esce dal 20 maggio nelle sale, distribuito da Medusa Film e Movies Inspired.
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