Ha appena finito di scrivere il suo prossimo film ed è ancora incerto sul titolo: ma il regista e attore Vincenzo Salemme torna comunque a cavalcare l’onda vincente della commedia degli equivoci, un genere che conosce molto bene, sia in cinema sia in teatro, e che gli ha portato molti consensi da parte del pubblico, un po’ meno da parte della critica.
Cosa narrerà il suo prossimo film?
Attingo dalla vita quotidiana, che poi elaboro per far scaturire i meccanismi comici. La mia è la classica commedia degli equivoci. I miei comici preferiti sono Totò e Stanlio ed Ollio, ma anche il grande Eduardo De Filippo, con il quale ho cominciato la carriera in teatro. Scaramanzia a parte, non mi piace parlare dei film in lavorazione. E’ certo che racconterò l’amore, l’amicizia e il dramma, sempre attraverso il paradosso della comicità. E’ certo pure che la mia produzione è quella di Cecchi Gori, al quale mi sono sempre affidato e che reputo in ascesa. Ed è pure sicurissimo che non ce la farò a rispettare il mio solito appuntamento natalizio con il pubblico. Infatti, mi sono detto: e se stavolta non uscissi a Natale? Il film sarà pronto per febbraio-marzo 2005. Intanto, proseguo con il teatro: a novembre sarò al Parioli di Roma con La gente vuole ridere.
Lei ha chiuso domenica scorsa Comicittà, rassegna del cinema comico di Frosinone: cosa pensa dei festival?
Sono sempre un’occasione di dialogo con il pubblico, ma non mi piacciono quando sono troppo legati ai premi o alle sovvenzioni delle Regioni: è la prima volta che vado a un festival, e non a caso ho scelto quello di Frosinone.
Perché, in Italia, la commedia è sempre stata penalizzata sia dai critici sia dalle rassegne più importanti?
E’ una domanda che mi ripeto spesso, soprattutto quando leggo le critiche sui miei film: al 99 per cento sono quasi sempre negative. Solo per l’ultimo lavoro, Ho visto le stelle, ho avuto qualche critica positiva.
Senza il pubblico non sarei arrivato da nessuna parte.
Questa è l’Italia: tutto finisce in barzelletta, politica compresa, destra o sinistra che sia, mentre i Paesi anglosassoni conservano un immenso rispetto per la commedia e per gli artisti che la creano. Sono nato a Bacoli, un paese vicino Pozzuoli: fin da bambino andavo tutti i giorni al cinema. Quando ho visto Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore ho pianto, perché era la mia storia. In quella saletta cinematografica eravamo sempre in sei persone, quattro delle quali handicappate. Nei miei film narro i personaggi che conosco, le storie che mi racconto la sera per addormentarmi. Ne L’amico del cuore l’idea mi venne proprio da un amico malato di cuore al quale piaceva molto mia moglie. E fu allora che mi domandai: “E se mi chiedesse come ultimo desiderio di far l’amore con lei, cosa gli risponderei?”. A ruota libera è la storia di un cugino di mia moglie e in Volesse il cielo m’interrogo sui motivi per cui le donne abortiscono. E’ un delitto, soprattutto per coppie, come me e mia moglie, che non hanno figli e vorrebbero tanto averne.
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