VINCENZO CERAMI


“Pinocchio è il simbolo di un conflitto che è in ognuno di noi. Da un lato vogliamo essere liberi di vivere secondo il principio del piacere; dall’altro dobbiamo accettare la realtà e le sue regole. Questo è il dilemma di Pinocchio: adeguarsi, o vivere tutta intera la propria libertà. Le bugie e il naso lungo non c’entrano niente”.
Dopo dodici anni di amicizia e di lavoro, coronati da un Oscar, il sodalizio di Vincenzo Cerami con Roberto Benigni conosce una nuova stagione artistica: Pinocchio, un film nuovo, italiano, a dispetto delle storie hollywoodiane.

Con Benigni avete lavorato in un paesino di pietra e silenzio, Gargonza…
Siamo stati chiusi in una stanza dentro un albergo che era un castello, o dentro un castello che fingeva di essere un albergo. Il cibo portato da qualcuno del paese, e un tavolo di legno. Da lì è uscito il nostro burattino.

Dopo l’Oscar, avrete avuto tanti soggetti fra i quali scegliere, mille proposte di Hollywood… Come mai ha vinto l’idea di un Pinocchio?
Guardi, mica abbiamo avuto tutte queste proposte! E poi se fai una storia americana, non tua, si sente che è un’operazione commerciale. Pinocchio era un vecchio sogno che avevamo. Da anni, non da ieri. L’America ci servirà, per i soldi in più necessari agli effetti speciali.

Lei, Cerami, sostiene nel suo nuovo romanzo, ”Fantasmi”, che è possibile raccontare il presente. In che modo?
E’ vero. E’ un’epoca nuova, strana. Che fa affiorare sentimenti inediti. Dobbiamo improvvisare giorno per giorno chi siamo. Siamo persi, naufraghi. Su tutto questo, ho voluto fare un libro provocatorio, senza scappatoie, senza metafore.

Quale è il personaggio centrale?
Una donna che va a caccia della vita. Un Ulisse femmina, se vogliamo. Una donna che fa naufragio mille volte. Fa nuovi incontri, e poi li abbandona, come terre che si lascia alle spalle. E ogni volta che se ne va, quelli che stavano con lei si accorgono di non averla conosciuta.

E’ questa donna a parlare in “Fantasmi”?
No. Viene di volta in volta raccontata da altri, come in un mosaico. E’ come un giallo: solo che, invece di ricostruire un delitto, ricostruiamo un personaggio.

Lei accennava a uno smarrimento comune, eppure un uomo di successo, dalle tante identità apprezzate e rispettate: scrittore, sceneggiatore, autore di teatro…
Ma nella mia intimità, sono altrettanto smarrito. Che valore ha il lavoro, dopo tutto? Siamo tutti soli.

Quale è il luogo più amato e più adatto per scrivere?
Casa: un tavolino piccolissimo e un computer. E la finestra, ma rigorosamente chiusa. Quando ho troppi appunti, una sedia accanto, dove mettere libri e scarabocchi.

autore
27 Marzo 2002

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