“Per la prima volta Amnesty International, dopo tanti film drammatici, ha dato il patrocinio a una commedia, quale è la mia opera prima Né Giulietta, né Romeo, perché parla di diritti civili e umani”. E’ contenta la neo regista Veronica Pivetti che, davanti alla platea dei giornalisti, riceve il riconoscimento dell’associazione per il suo impegno anche di testimonial nella campagna “Mai più spose bambine”. Per Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, Né Giulietta, né Romeo, in sala con Microcinema dal 19 novembre, con la sua delicatezza e ironia, ridà spazio e dignità a temi che si cerca di nascondere sotto il tappeto, come il bullismo omofobo e più in generale i diritti delle persone omosessuali.
Il debutto di Veronica Pivetti dietro la macchina da presa, presentato all’ultimo Festival di Giffoni, narra infatti quanto sia complicato, se non quasi impossibile, per un giovane dichiarare alla propria famiglia, in apparenza emancipata, di essere gay. Nel film Andrea Amato è Rocco, 16enne in cerca dell’identità sessuale, tra ribellione e paura, e vittima a scuola di bullismo. La Pivetti è Olga, giornalista politicamente corretta e madre un po’ ansiosa ma disattenta; Corrado Invernizzi è Manuele, il suo ex marito, psichiatra pieno di sé e donnaiolo impenitente, e soprattutto padre distante; Pia Engleberth è Amanda, una originale nonna “fascia” e molto dannunziana; Carolina Pavone e Francesco De Miranda sono gli amici inseparabili di Rocco, rispettivamente Maria un’intraprendente e simpatica ragazza che dispensa saggi consigli ai suoi coetanei e Mauri un ingenuo e un po’ goffo compagno d’avventure.
E’ stato difficile cimentarsi con la regia?
Lo meditavo da tempo, avevo diretto dei cortometraggi e purtroppo mi è piaciuto. Certo per un’esordiente è complicato, per di più se si tratta di un’attrice non più giovane come la sottoscritta. Per fortuna mi ha aiutato dal punto di vista pratico l’esperienza televisiva. Ho vissuto sul set la doppia tensione di regista e interprete. Al di là dell’accoglienza del pubblico sono contenta di aver portato a termine un progetto che è morto e resuscitato varie volte.
Come nasce il film?
Si tratta di un copione che la sceneggiatrice Giovanna Gra aveva scritto per me qualche anno fa e al quale ho collaborato. Al centro il personaggio di Olga, un personaggio un po’ antipatico, ma volevo una madre simbolo di una famiglia progressista a parole ma sorda a capire il figlio adolescente. Rocco guarda ai genitori come a un naturale riferimento e invece scopre un muro di incomprensione.
Una generazione, quella di Rocco, lontana da noi?
Non lo è affatto, tuttora porto dentro di me tutti i traumi adolescenziali, quelle situazioni attraverso le quali molti sono passati avendo a che fare con genitori che erano convinti di conoscerci, di sapere tutto di noi.
Perché ha scelto la commedia per parlare di un tema importante come l’omosessualità?
E’ un abito che vesto meglio come attrice e poi mi piacciono i suoi ritmi. Può raccontare drammi e nel contempo far sorridere. L’intento era di accendere un faro sull’omosessualità, tema tanto dibattuto nella società, ma poco assimilato.
Il film mostra quanto l’omofobia sia presente anche tra i giovani.
Accade quando nelle loro famiglie prevalgono questi discorsi e atteggiamenti. Inoltre i ragazzi sono spesso pieni di pregiudizi e le famiglie non fanno che assecondarli.
‘Se guardi con il cuore non c’è differenza’, recita il sottotitolo del film?
In fondo è questo il percorso della madre: Olga prima rifiuta il figlio omosessuale, poi apre moltissimo il cuore a questa realtà per lei inaspettata. Anche la nonna, così folcloristica nel suo essere una nostalgica, guarda al nipote con affetto. Così come per Mauri, amico di Rocco, l’amicizia prevale alla fine sul suo conformismo.
A chi è rivolto il suo film?
Spero che piaccia ai ragazzi ma anche alla generazione dei 40 e 50enni. Vorrei che quest’ultimi si confrontassero con l’incomprensione verso i figli che i genitori vivono in alcuni momenti. Io stessa ho avuto a che fare con quella dei miei.
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