Veronesi: “Nuti, Verdone, Benigni e Troisi potevano essere moschettieri per me”

Arriva in sala il 27 dicembre Moschettieri dei re – La penultima missione, incursione nel genere avventuroso di Giovanni Veronesi con Pierfrancesco Favino, Rocco Papaleo, Valerio Mastandrea e Sergio R


Arriva in sala il 27 dicembre Moschettieri dei re – La penultima missione, incursione nel genere avventuroso di Giovanni Veronesi (che già provò un film di Natale insolito nel ’98 con Il mio West) interpretata da Pierfrancesco Favino (un D’Artagnan con un improbabile accento italo-guascone), Valerio Mastandrea (un Porthos dipendente dalle droghe), Rocco Papaleo (un Athos dichiaratamente bisessuale) e Sergio Rubini (Aramis, pentito della sua vita passata e ritiratosi in convento). Senza ispirarsi a nessuna opera specifica di Dumas, il film immagina il ritorno degli eroi in età piuttosto tarda, coinvolti nell’ennesima missione segreta dalla regina Margherita Buy, contro le cospirazioni del cardinale Mazzarino (Alessando Haber) e di Milady (Giulia Bevilacqua). Ad affiancare il ricco cast ci sono Matilde Gioli e Valeria Solarino, nei panni rispettivamente di una devota ancella e di una cavallerizza che aiuterà i moschettieri nella riuscita della loro missione.

Incerto tra commedia, dramma ed epica, il film non rinuncia a modernismi come gli occhiali da sole – inventati da Leonardo Da Vinci ma di foggia decisamente futuristica – o la parlata in dialetto dei vari attori (con l’eccezione appunto di Favino), risolvendoli in una svolta finale irrivelabile senza rovinare il gusto della sorpresa allo spettatore.

“E’ dagli anni ’80 che avevo in mente questo film – confessa il regista – lo volevo fare con Francesco Nuti, Carlo Verdone, Massimo Troisi e Roberto Benigni. Pensate che quartetto! Ma mettere insieme tutti i loro impegni era impossibile, solo Benigni e Troisi ci riuscirono per Non ci resta che piangere”. “Certo, se dici così – fa eco Mastandrea – tutti penseranno che sarebbe stato molto più bello, e forse è anche vero”.

Ma Veronesi si corregge presto: “Dopotutto preferisco averlo fatto con questi interpreti, che non sono solo comici ma attori completi, pur avendo ottimi tempi comici. In questo modo il film tocca la farsa ma non si esaurisce su quello. Ci sono anche punte epiche e malinconiche. Inoltre sono tutti anche dei registi. Ho scelto il titolo La penultima missione non perché necessariamente si debba pensare a una saga. Mi piace l’idea che qualcosa continui dopo l’avventura, ma potrei mettere questo sottotitolo a qualsiasi mio prossimo film. Non farei mai una serie, comunque. Il film l’ho pensato per il cinema, ha quel respiro, molti paesaggi, molti totali, pochissimi primi piani, tante scenografie curate, non siamo stati a pensare a come la gente lo avrebbe visto su una qualsiasi piattaforma digitale, è un problema di chi quelle piattaforme le usa, per me era importante fare cinema”.

Parlano in conferenza anche Rubini e Papaleo. “Dopo i primi due Manuale d’amore con Giovanni ho avuto solo piccoli ruoli, per cui sapere che ne aveva uno grande per me mi ha spinto ad accettare particolarmente volentieri. Certo mettere su un film del genere in Italia, specie ora che tutti vogliono buttarsi sulle serie, è un’impresa non da poco”. “Io ho accettato soprattutto perché Veronesi abita vicino casa mia – commenta Papaleo – quindi almeno per il provino potevo andare a piedi. Cercavo di capire come si potessero rendere ironici i moschettieri e gran parte del lavoro è stato quello”.

Favino invece si trova in Brasile, ma trova comunque modo di fare una simpatica comparsata con una registrazione abbinata a un cartonato di D’Artagnan, e imitando il suo accento spiega: “abbiamo lavorato come con un juke box. Giovanni inseriva le 500 lire e io cercavo la voce giusta, alla fine abbiamo trovato quella più divertente”.

Costato 5 milioni e mezzo circa, il film, dice Veronesi: “è la classica opera che non si può realizzare da soli, richiede dispendio di tempo e denaro. Pensate anche solo agli spostamenti, c’era da portare cavalli e carrozze da una parte all’altra, ma grazie a un’ottima produzione io potevo permettermi di andare sul set e pensare solo alle inquadrature. I produttori sono stati dei folli a finanziarmi ma questa è la caratteristica che un vero imprenditore deve avere. Mi piace pensare – aggiunge – che il film abbia anche una metafora sociale. Erano tempi in cui in Europa scoppiavano guerre per motivi religiosi e in cui gli Ugonotti venivano torturati e uccisi per il loro credo, e scappavano coi barconi verso l’Inghilterra dove venivano accolti. Ci pensiamo tanto avanzati ma è roba di qualche secolo fa”.

Infine ammette di aver fatto un errore con Il mio West: “Non ebbi coraggio, oggi lo posso dire. Avrei dovuto farlo con i miei attori, ma la produzione insistette su Pieraccioni, e poi mi lasciai gasare dalla presenza di Harvey Keitel e David Bowie, ne venne fuori un ibrido. Ha fatto comunque i suoi incassi  ma fu percepito come un insuccesso. Bisogna sempre seguire le proprie idee e il proprio istinto”.

La colonna sonora, comprendente un brano di Adriano Celentano, è in gran parte firmata da Luca Medici alias Checco Zalone, in una insolita e convincente veste di compositore.

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18 Dicembre 2018

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