VENEZIA – L’opera seconda brilla come punta di diamante del cinema italiano a Venezia81, infatti Vermiglio e Familia, rispettivamente film di Maura Delpero e Francesco Costabile, sono entrambi il secondo lungometraggio di ciascuno di questi due autori della generazione più recente della nostra cinematografia che, con due vicende diametralmente opposte, ma entrambe con il cuore pulsante nel concetto di “famiglia”, conquistano l’edizione 2024 della Mostra. Le loro opere prime sono state Maternal e Una femmina.
Vermiglio è Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria: il film della regista bolzanina è l’unico italiano del Concorso a ricevere un riconoscimento dalla Giuria presieduta da Isabelle Huppert, con Giuseppe Tornatore tra i membri. “Il film è nato da un moto dell’anima, la morte di mio padre, che m’è apparso in sogno, quando aveva 6 anni, nella casa d’infanzia”, ha raccontato l’autrice che con il Leone tra le mani, sotto i riflettori della cerimonia di chiusura, esclama: “Evviva! Questo film è nato da un sogno, non sapevo sarebbe potuto finire come un sogno! Ringrazio… la troupe e tutti gli attori, che si sono gelati i piedi nella neve; le famiglie per averci affidato i loro bambini; questo film è stato fatto con sostegno pubblico e senza di loro avrebbe potuto tradire se stesso, sarebbe stato filologicamente scorretto, io non avrei potuto scegliere ogni volto, non avrei potuto ascoltare il silenzio e i tempi della montagna: lo dico per fomentare il dialogo tra chi fa cinema indipendente e le istituzioni”.
Mentre, interpretando un personaggio reale, Luigi Celeste, e la sua storia personale di violenza domestica e esperienza carceraria, poi letteraria, Francesco Gheghi vince per la Miglior Interpretazione Maschile nella sezione Orizzonti. L’attore ventunenne, ricevendo il premio in Sala Grande, tra occhi lucidissimi, lacrime e nodo in gola, accennando un sorriso colmo di bellezza, ringrazia mamma e papà della vita reale, “due genitori liberi, per il privilegio di essere stato un bambino pieno di serenità” e dedica “questo premio a tutti gli attori della mia generazione”, concludendo con il “grazie” al vero Gigi Celeste “per avere condiviso la tua storia e il tuo dolore”.
Gli ultimi lembi del conflitto mondiale là sulle montagne trentine e la contemporaneità periferica fanno da scenografie sociali e umane: entrambe le storie hanno un padre importante, chiave di volta delle vicende. Delpero ha scelto Tommaso Ragno per il papà di Vermiglio, ricordando il nonno; quello sullo schermo è un uomo antico, colto per l’epoca e la geografia, cultore di musica classica: lui è il capofamiglia di una tribù di figli, in cui una certa forma di egoismo pulsa e difficile è il sentimento di empatia.
Sempre un padre è la miccia che innesca l’intera storia della famiglia Celeste: Franco, interpretato da Francesco Di Leva, è infatti l’uomo che – nella vita reale, poi sullo schermo – ha rovinato l’esistenza di Licia (Barbara Ronchi) e dei suoi due figli: Gheghi carica su di sé il peso schiacciante di un personaggio dalla forte componente emotiva che s’è macchiato di parricidio; poco prima dell’atto che ha sentito necessario per liberare sé e la sua famiglia, suo padre, ormai sotto la mano della morte, infiamma Gigi presentandogli la violenza come un retaggio, tanto che nell’epilogo della vicenda cerca di lasciargli un’eredità scomoda, dicendogli: “tu sei uguale a me”, ovvero alludendo al fatto che la brutalità sia un dna che serpeggia, di padre in figlio.
Così, come ci sono dei padri, e dei figli, ci sono anche della madri: un angelo del focolare stremato dal costante stato di gravidanza è la mamma di Vermiglio (Roberta Rovelli), fattrice nella sostanza, voce quasi inascoltata, secondo una prassi tradizionale per cui la donna era buona solo per l’economia domestica; e una mamma coraggio è quella interpretata da Ronchi in Familia che, seppur sfilacciata nell’anima, cerca di tutelare la sua prole: vessata da un inutile quanto mordente senso di colpa si fa complice – senza colpa – del degenerare delle circostanze famigliari.
Sono film in cui sussiste anche il concetto di “codice”, insito nelle rispettive storie, e si specchia, guardacaso, nelle figure paterne: per Ragno “quello di Vermiglio è un codice di comportamento che non conosciamo più o abbiamo solo sentito dire… io dal mio bisnonno. L’elemento dei personaggi spinti dalla necessità è uno dei punti su cui il personaggio è stato costruito volta per volta, su un codice non scontato: il film ha la forza nei comportamenti e la natura del personaggio sta nel non essere padre in sé, ma un certo tipo di padre: infatti, importante è stato vedere come sia visto dai figli”; così come si fa “codice” la violenza, che a Gheghi in Familia sembra effettivamente scorra nel sangue, quando dà la sua adesione a un gruppo neofascista, ma che poi, come ha dichiarato Tecla Insoglia, nel ruolo della fidanzata di Luigi, “quando si cresce nella violenza non c’è soltanto un modo per risolvere, non è detto si reiteri. Giulia per lui rappresenta l’amore perché lo riconosce al di fuori della sua storia, di quello che sembra il suo destino. Gli insegna ad amare”.
Vermiglio esce al cinema dal 19 settembre con Lucky Red; mentre il film di Francesco Costabile è in sala dal 2 ottobre 2024.
La serata di premiazione si conclude con le parole del direttore della Mostra, Alberto Barbera, per cui il risultato di Maura Delpero è estremamente positivo e riflette un giudizio complessivo sul cinema italiano. Il film ha ricevuto “un’accoglienza positiva e incoraggiante per il nostro cinema”. Quanto agli altri film italiani che non hanno avuto alcun riconoscimento, Barbera commenta: “non è un demerito. Una delle difficoltà che ha avuto la Giuria è stata scegliere quale film premiare, perché la qualità media era molto alta”.
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