E’ un operaio della Galileo di Padova a raccontare tuttora tra lacrime e commozione, l’improvvisa morte, nel giugno 1984, dello storico segretario del Pci Enrico Berlinguer, colpito, a soli 62 anni, da un ictus durante un comizio a Padova per le elezioni europee. Lui, Silvio Finesso, e il capo scorta Alberto Menichelli sono le testimonianze più dirette, meno scontate che restituiscono l’uomo e il politico rigoroso nel documentario di Walter Veltroni Quando c’era Berlinguer, prodotto da Carlo degli Esposti, in sala il 27 marzo e in onda da giugno su Sky Cinema HD e History Channel HD.
Il film è dedicato ai 18enni di oggi, a quei giovani, universitari e studenti (alcuni del Liceo Azuni di Sassari frequentato dal leader comunista) che in grande maggioranza, all’inizio del film, rivelano con candore misto a ingenuità di non sapere chi sia stato Berlinguer. Non è un caso che, per sintonizzarsi con loro, Veltroni includa un testimone insolito quale il cantautore Jovanotti che rivela di aver sempre associato la parola comunista a Berlinguer, in particolare alla sua correttezza e alla sua onestà.
Ma il film sembra parlare soprattutto a chi ha vissuto quella stagione politica e lo fa ripercorrendo innanzitutto le tappe principali del disegno politico berlingueriano: il compromesso storico con la Dc, elaborato nei giorni immediati al golpe fascista in Cile; l’eurocomunismo e l’autonomia dall’Urss; l’accettazione del Patto Atlantico; il dialogo con i cattolici; la dichiarazione sulla fine della spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre.
Una strategia che avrebbe dovuto portare alla progressiva partecipazione del Pci al governo del Paese e che trovò invece tanti ostacoli sulla sua strada: il terrorismo delle Brigate rosse come ci dice l’ex Br Alberto Franceschini; la grande diffidenza degli americani, rivelata dall’ex ambasciatore Usa in Italia Richard Gardner; e infine l’opposizione di Bettino Craxi, riassunta nel film dai fischi che a Verona il congresso del Psi riservò all’invitato Berlinguer nel maggio ’84. Per non parlare dell’ipotesi di un ‘falso incidente’ in auto, ipotesi avanzata dallo stesso leader del Pci, orchestrato dal KGB e avvenuto in Bulgaria nel 1973, in occasione di una sua visita ufficiale, e nel quale Berlinguer rischiò di morire.
Se il privato dell’uomo è affidato alla testimonianza della figlia Bianca, la parabola politica è approfondita grazie alle testimonianze di Napolitano, Macaluso, Scalfari, don Bettazzi, Segre, Forlani, Gorbaciov, Ingrao, Tortorella e Signorile. E proprio quest’ultimo, esponente del Psi, rivela che Aldo Moro si era fatto garante con Berlinguer di un governo, composto anche dal Pci, che avrebbe sostituito il monocolore democristiano guidato dal leader Dc.
I ricordi dei protagonisti di allora si uniscono con quelli di Veltroni, che prova a restituire un’immagine il più fedele e corretta possibile del politico e della persona: “Un uomo timido, riservato, competente, onesto, coraggioso. Divenne segretario di un Partito, pur glorioso, che non aveva mai superato il 25% e lo portò, in quattro anni, ad essere votato da un italiano su tre. Impresse accelerazioni vertiginose alla sua comunità, fino a immaginare una collaborazione di governo con l’avversario di sempre: la Dc”.
La scomparsa di Berlinguer per Veltroni coincide con la fine del Pci, anche se verrà certificata qualche anno dopo con la svolta della Bolognina. Una fine che spinge tuttavia a costruire una sinistra riformista e di governo e questo per merito anche dell’orizzonte politico di Berlinguer che aveva preso progressivamente le distanze dai regimi autoritari dell’Est.
Se qualche perplessità lascia il commento musicale, a volte eccessivo, non altrettanto si può dire del repertorio. Veltroni ne fa un uso attento, attingendo spesso a immagini meno conosciute e poco viste. Dalle tribune politiche, lontane anni luce dagli attuali talk show, alle immagini degli impegni politici dell’ultima settimana di vita, fino a quell’addio commovente del presidente della Repubblica Sandro Pertini al feretro.
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