Diario di un maestro quarant’anni dopo, con gli immigrati al posto dei bambini delle elementari e Valerio Mastandrea al posto di Bruno Cirino. È un bel paragone per La mia classe, il film di Daniele Gaglianone che aveva debuttato a Venezia, alle Giornate degli Autori, e ora sta arrivando in sala distribuito dalla Pablo di Gianluca Arcopinto, che l’ha prodotto insieme a Rai Cinema e col contributo del MiBACT e il patrocinio del ministro per l’Integrazione. Già uscito a Milano, a Roma e Torino arriverà il 23 gennaio, e poi via via nelle città che lo richiederanno con un metodo che Arcopinto rivendica come valida alternativa al mercato. Singolare impasto di documentario, finzione, cinema nel cinema, La mia classe ci mostra la difficoltà di integrarsi in un paese straniero, e spesso maldisposto, di cui non si conosce neppure la lingua per un gruppo di uomini e donne di età e provenienze diverse, ma uniti dal dolore del separarsi dalla nazione d’origine. Un dolore che a volte può diventare opportunità ma più spesso nasconde pericoli, fregature e paure. Protagonista e motore della vicenda, insieme agli studenti, è Valerio Mastandrea, anche coproduttore, che nei prossimi mesi vedremo anche in altri due film piuttosto attesi, La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati e Il nome di Francesca Archibugi, remake del francese Cena tra amici.
Mastandrea, come ha lavorato su un tema tanto attuale e drammatico come quello dell’immigrazione, raccontato in modo tangenziale, ma non per questo meno toccante, attraverso le parole dei protagonisti, un gruppo di extracomunitari di varia provenienza che stanno imparando l’italiano?
Innanzitutto non vorrei che La mia classe passasse per un film che parla di immigrazione, ma piuttosto di voglia di vivere la vita e di integrazione. Noi ci abbiamo fatto i conti come esseri umani, tanto che a un certo punto ci siamo detti: qui non bisogna fare un film, bisogna trovargli un lavoro. Non mi basta più fare film che stimolino la discussione. Si prova sconforto di fronte a certe dinamiche che il cinema non può cambiare.
Anche per questo avete voluto scardinare il meccanismo narrativo, portando in scena la finzione del cinema e mostrando il regista e la troupe al lavoro?
Gaglianone, Arcopinto ed io siamo riusciti in qualche a mettere in scena il nostro pensiero sull’utilità del cinema, a porci delle domande. Abbiamo messo in scena anche il farsi del film perché è bene che il pubblico capisca che chi fa l’attore, il regista e il produttore si pone delle domande sull’utilità e il senso del suo lavoro.
Come è stato lavorare con gli immigrati, tutti non professionisti, anche se molto efficaci?
Avevo già lavorato con attori non professionisti ed è sempre un’esperienza stimolante per un attore esperto, ma qui c’è qualcosa di più. Questo maestro è il personaggio più borderline che io abbia interpretato. La messinscena era tutta basata sull’improvvisazione, ogni lezione durava tre ore a partire da una traccia. Abbiamo girato per tre settimane a Torpignattara nella scuola Di Liegro, che fa parte del circuito dei Centri territoriali permanenti per l’istruzione degli adulti. Tra l’altro parecchi di loro si sono incuriositi e qualcuno vorrebbe continuare a recitare.
Conosceva questo mondo?
Non sapevo dell’esistenza dei CTP né delle associazioni di volontariato che operano nel settore, è stata Claudia Russo, cosceneggiatrice insieme a Gino Clemente e insegnante di italiano per stranieri, oltre che autrice televisiva, che mi ha raccontato tante cose. Non sapevo ad esempio che imparare l’italiano fosse un passaggio burocratico necessario per ottenere il permesso di soggiorno.
Cosa pensa del sistema distributivo adottato dalla Pablo per il film?
È bene che ci sia un sistema che permetta di esistere a tutti i film. E bisognerebbe avere 3.000 sale invece che 1.500. I film vanno visti al cinema, un primo piano sul grande schermo non è come un primo piano sul Mac. A Roma uscirà il 23 gennaio al Nuovo Aquila dopo un’anteprima dopodomani alle 22,30. Dopo Venezia, è stato al London Film Festival, in Francia, a Istanbul, Madrid. È un film molto internazionale, anche perché i protagonisti vengono da tutto il mondo.
Ha saputo che “La grande bellezza” ha vinto anche il Golden Globe?
Era ora! Ho detto la stessa cosa anche quando Sacro GRA ha vinto il Leone d’oro. “Era ora” è una frase che va sempre bene.
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