CANNES – Attesissima e applauditissima, Valeria Bruni Tedeschi, unica donna in competizione per la Palma, sfila oggi sulla Croisette – provocando anche un po’ di panico pomeridiano dovuto al blocco delle strade – per presentare il suo terzo lungometraggio Un chateau en Italie, da lei interpretato al fianco di Louis Garrel e di Filippo Timi. C’è anche sua mamma Marisa Borini, che in sostanza ricopre il ruolo di se stessa, dato che il film presenta molti tratti autobiografici ed è dedicato al fratello Virginio, scomparso nel 2006 a 46 anni dopo una lunga lotta contro l’Aids. Nel cast spiccano anche altri due attori italiani, Pippo Delbono e Silvio Orlando.
La storia di Louise, quarantenne che torna a sognare dopo l’incontro con un giovane e bell’attore, è l’occasione per mettere in scena i rapporti che intercorrono tra i membri della famiglia di lei, che attraversa un momento di drammatico declino: suo fratello Ludovic è gravemente malato e i debiti costringono la madre a vendere la grande casa di famiglia, il “castello in Italia” a Castagneto Po, realmente appartenuto ai Bruni Tedeschi.
Una sorta di psicanalisi familiare? “Il cinema non è terapia – sostiene l’autrice – non risolve problemi, non risolve nevrosi. La terapia è il lavoro che ti fa arrivare stanco alla sera. Louise ha la costante impressione di dover sopravvivere: al tempo che passa, alla morte annunciata di suo fratello, alla vita che si svolge e che lascia vuoto e morte alle sue spalle. Per lei avere un bambino è un modo per sopravvivere, per non lasciarsi inghiottire dal dolore, dalla solitudine, dalla sofferenza e dalla morte. Ha abbandonato il mestiere di attrice per fare spazio alla vita ed è un pensiero che ho avuto anch’io, perché stando nel vuoto c’è la vita che arriva”.
Manca invece il corrispettivo filmico della sorella ‘Carlà’: “Non c’era spazio – continua Bruni Tedeschi – la famiglia sarebbe risultata troppo invadente e avrebbe tolto respiro alla storia d’amore. In un primo momento avevo pensato di inserirla ma mi sono resa conto che non funzionava. Mi sono concentrata sul rapporto tra fratello e sorella, esclusivo, quasi incestuoso, come ne Il giardino dei Finzi Contini o Salto nel vuoto. E’ questo rapporto che impedisce loro di diventare adulti. Ma non lo vedo come un episodio della mia vita al cinema, è semplicemente un film. Il primo in cui non ho sensi di colpa. L’ironia è in un certo senso un modo di sopravvivere al dolore. Quando rido delle miserie umane sento come se mi facesse l’effetto di un ansiolitico e questo è quello che ho cercato di riproporre nel film”.
Personale o no, anche Louis Garrel interpreta se stesso, avendo avuto per anni una relazione con la regista: “E’ stato lui a consigliarmi di aggiungere la parte sulla nostra storia d’amore – dice Valeria – mentre per il ruolo di mio fratello ho fatto tanti provini ma pur non somigliandogli fisicamente Filippo Timi aveva come l’esigenza di interpretarlo, per motivi suoi personali, e io lo ho assecondato”.
Nel film ha un cameo anche Omar Sharif: “L’ho fatto per far piacere a mia madre – conclude la regista – Un giorno mi ha chiamata dicendo che lo aveva visto al ristorante e che era bellissimo, che era il suo idolo. Ho pensato di chiamarlo sperando che tra i due scattasse un colpo di fulmine. Lui è stato gentile e ha accettato, ma non si sono mai innamorati”.
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