Ha lavorato con registi di fama internazionale come Peter Greenaway (The Tulse Luper Suitcases), Mike Figgis (Hotel), Jane Campion (Ritratto di Signora) e Pascal Bonitzer (Rien sur Robert), ma anche con esordienti come Stefano Mordini (Provincia meccanica): oggi Valentina Cervi ha due nuovi progetti. E’ stata sul set a Trieste con Claudio Santamaria nel film di un regista svizzero sulla boxe clandestina, mentre adesso è coinvolta in un progetto sulla nascita della malavita organizzata in Puglia diretto dal collettivo Fluid Video Crew. CinecittàNews l’ha intervistata al 5° Festival internazionale delle Letterature a Roma, dov’era impegnata nella lettura di brani dal nuovo romanzo della premiata scrittrice Zadie Smith, “On Beauty”.
Come è stato lavorare con Peter Greenaway che l’ha diretta nella coproduzione italiana, distribuita dal Luce, The Tulse Luper Suitcases?
Pazzesco. Peter è una specie di ragazzo terribile: non dorme, scrive, legge, dipinge, dirige film. E’ sempre in evoluzione ed è uno stimolo ininterrotto per un attore perché ha sempre nuove idee ed è molto aperto ai suggerimenti. Ha una visione molto precisa di tutto quello che riguarda l’inquadratura, il set, i costumi, la fotografia, mentre lascia molta libertà agli attori. In un certo senso ti tratta come un pezzo della scenografia, con il dovuto rispetto. E’ stata un’esperienza emozionante specie per la bellezza del suo cinema.
Qualche analogia con l’esperienza nel film sperimentale di Mike Figgis, Hotel?
Mike Figgis è completamente diverso, lui ama gli attori. E’ il re dell’improvvisazione. Tende a stabilire rapporti molto ravvicinati, a lavorare sulle emozioni e creare un’atmosfera intima. La sceneggiatura gli interessa poco, le scene pochissimo. Cerca invece di catturare le emozioni dell’attore e mostrare aspetti nascosti della loro personalità.
Lei ha lavorato spesso all’estero. Come mai?
Non lo so, è capitato. Sono fortunata e me la cavo bene con le lingue straniere, ma a volte è la vita che sceglie per te. E’ stata Jane Campion a chiamarmi. Io credo molto nel karma, nel fato e nell’affinità con certi luoghi.
Con Provincia meccanica, dell’esordiente Stefano Mordini, lei ha ottenuto una candidatura al David di Donatello. Come ricorda quell’esperienza?
Provincia meccanica è uno dei miei film preferiti: siamo stati come una famiglia. Quando lavori con un esordiente, ti senti molto più responsabile, come se fossi un po’ la madre del film.
Cosa pensa della situazione attuale del cinema italiano?
Ha attraversato due anni difficili ma adesso le cose stanno migliorando. Penso che in Italia ci siano molti talenti e spero di potere continuare a lavorare con registi italiani. In modo particolare ho fiducia nei giovani e infatti sto per iniziare due opere di nuovi autori. Una, che s’intitola Fratello sorella, è diretta da un regista svizzero: gireremo a Trieste con Claudio Santamaria. E’ una storia di boxe illegale e scommesse, un mondo che esiste davvero e dove viene riciclato denaro sporco. L’altro progetto parla della nascita della Sacra Corona Unita, la mafia pugliese. Il film si chiama L’angelo della dimenticanza e va dagli anni ’70 alla fine degli anni ’80. Al centro della vicenda c’è una figura reale, quella di Antonio Perrone, tuttora in carcere, e di sua moglie Daniela, a piede libero. A dirigerlo un gruppo di filmaker che si chiama Fluid Video Crew.
C’è qualche altro progetto internazionale in vista?
Un paio di cose in Francia, ma ancora da confermare.
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