In una realtà parallela alla nostra, non esiste un solo mondo, ma due, posti l’uno sopra l’altro e sottoposti a forze gravitazionali d’ordine inverso. Nel ‘mondo si sotto’, sfruttato dagli abitanti di quello di sopra, domina l’indigenza, mentre in quello di sopra sono di casa il lusso e il benessere. Ogni contatto tra gli abitanti di un mondo e quelli dell’altro è assolutamente vietato, così come lo è trasportare materia da un mondo all’altro senza rigidi controlli. Anche perché la materia di un mondo, al contatto con quella dell’altro, dopo un’ora inesorabilmente inizia a surriscaldarsi e brucia. Solo in un punto si territorio particolare i due pianeti possono entrare in contatto. E’ qui che sorge la TransWorld, multinazionale – controllata dal mondo di sopra – che regola i rapporti tra le due Terre, con conseguenti scenari divertenti di gente che, a seconda del punto di vista (e della sua appartenenza ‘gravitazionale’) cammina a testa in giù o in su.
Per una serie di eventi fortuiti, il protagonista Adam (Jim Sturgess), un povero orfano del mondo di sotto, incontra Eden (Kirsten Dunst), attraente impiegata del mondo di sopra. I due si innamorano, ma la loro storia, come si può immaginare, è difficile e il loro cammino insieme irto di ostacoli.
Dopo il visionario cortometraggio L’uomo senza testa, vincitore del Premio della Giuria per il miglior corto al 56° Festival di Cannes – omaggiato, tra l’altro, in una sequenza del nuovo film – e il primo lungo Nordeste, il visionario regista argentino Juan Solanas si mette alla prova con questo fanta-romance che gli permette di mettere in mostra tutto il suo estro nei termini di un immaginario suggestivo e intrigante. Il film non funziona tanto nei dettagli – non è chiaro, per esempio, perché i protagonisti non brucino nel passaggio da un mondo all’altro – quanto come visione d’insieme, anzi, come un sogno, ricordando vagamente anche il recente Another Earth di Mike Cahill o certe atmosfere care a Michel Gondry. Il gusto europeo, e francese in particolare, del resto, non sorprende, dato che risiede Oltralpe dal 1977, anno in cui, come racconta “sono fuggito dall’Argentina dei militari per abitare nell’emisfero Nord, diventando uno che vive ‘upside down’ rispetto ai miei familiari, che sono rimasti al Sud”.
Insomma, nel film c’è anche un po’ di autobiografia, e lo stesso regista sottolinea come l’intera trama si sia costruita a partire da un’onirica visione: “Una mattina, al mio risveglio, ho ‘visto’ un’immagine: due montagne invertite che si fronteggiavano, una sotto l’altra. Questa visione, con le due vette che quasi si toccano, si è insinuata in me e mi ha immediatamente affascinato. Su ciascuna delle vette, c’era qualcuno. Un uomo, in basso, che guardava verso l’alto, e una donna che si trovava sull’altra cima con la testa rivolta verso il basso. Ho immediatamente capito che i due si amavano, ma che questo amore sarebbe stato quasi impossibile. Non era esattamente una bella immagine, mi rendevo conto che trasmetteva cose che mi toccavano e riguardavano la mia vita personale. Era un modo per parlare della realtà in maniera poetica e metaforica, creare un altro mondo per poter parlare meglio del nostro”.
Forti i simboli: l’attrazione che intercorre tra i due protagonisti non è soltanto carnale e sentimentale, ma sconfina, dato il contesto, nelle leggi della fisica e anzi, a suo modo, finisce per superarle. E naturalmente le due terre sovrapposte (e contrapposte) ben si prestano a far da specchio alla situazione del mondo reale, con la sua iniqua distribuzione delle ricchezze. Ma il mondo dei ricchi non è un vero Paradiso: quello sta tra le braccia della donna amata, che non a caso si chiama Eden.
Per rendere tutto più realistico e credibile, Solanas non è voluto ricorrere ad artifici esagerati per rendere l’idea dei due mondi che si incontrano: “Dovevo trovare un mezzo ‘umano’ per farlo – racconta – Volevo mostrare un mondo in cui le persone che si trovano in piedi sul soffitto si rivolgono ad altre che sono in piedi sul suolo (e viceversa) senza far recitare gli attori davanti alle palline da ping-pong. Così mi è venuta l’idea del dispositivo ‘master-slave’, un Dolly interamente computerizzato collegato a un computer che trasmette in tempo reale le coordinate dal movimento a un’altra macchina da presa. Questo mi ha permesso di girare con due mezze scenografie e due macchine da presa con un solo e medesimo movimento di macchina, e io e l’operatore abbiamo potuto inquadrare in un monitor la composizione delle due mezze immagini che alla fine formano quella che vedete voi su schermo. Gli attori si guardano in tempo reale con un sistema simile al tele-suggeritore, quello che i giornalisti usano in tv per leggere un testo. Ma qui, invece che il testo, c’è l’immagine dell’altro attore, così possono recitare e improvvisare in tranquillità”.
Il film sarà in sala dal 28 febbraio con Notorius Pictures.
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