‘Upon Entry’: in sala il thriller politico di Rojas e Vásquez

Al cinema dal 1° febbraio con EXIT Media, dopo un passaggio alla 16ma edizione del Festival del cinema spagnolo e latinoamericano, 'Upon Entry' – L’arrivo, pluripremiata opera prima della coppia ispano-venezuelana Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez

Upon Entry: un'immagine dal film

Il film è stato presentato inoltre al 26° Festival Black Nights di Tallinn, dove ha vinto il Premio FIPRESCI nella categoria delle opere prime. Basato sulle esperienze personali degli emigranti, il film segue la storia di Diego ed Elena, una coppia che decide di trasferirsi negli Stati Uniti dopo aver vissuto insieme a Barcellona. Tuttavia, il loro piano di iniziare una nuova vita si scontra con le autorità all’ingresso nel paese. Soggetti a un rigoroso processo di ispezione all’aeroporto di New York, compreso un interrogatorio psicologico, il loro destino è in bilico.

Sebbene inizialmente il film sembri seguire percorsi narrativi comuni e stereotipi, i registi riescono a superarli e a offrire una prospettiva fresca. La semplicità, sia nella forma che nel contenuto, sembra essere la chiave del loro successo. Gli autori conoscono e hanno vissuto le esperienze che raccontano, e cercano di far emergere la storia in modo sobrio, senza fronzoli inutili. La precisione nei dettagli, la credibilità dei personaggi e delle situazioni permettono di trasmettere il mondo emotivo della coppia al bivio, con tutte le emozioni di paura, smarrimento, incertezza e impotenza.

Upon Entry affronta il tema della paura dell’altro, del razzismo, dell’abuso di potere e dell’insensatezza della burocrazia, mettendo in luce la vulnerabilità di fronte a tali situazioni. Tuttavia, nonostante il tono drammatico, il film riesce a inserire momenti di umorismo, basati sulla riflessione della realtà assurda e frustrante. Uno dei punti di forza del film è la gestione del tono e del ritmo, che riesce a portare la storia a un climax, scherzando in modo sottile su alcune situazioni estremamente paradossali.

Il film resta sempre coinvolgente e autentico, riuscendo in gran parte ad evitare il rischio di luoghi comuni.

E’ una coproduzione delle compagnie spagnole Zabriskie Films, Basque Films e Sygnatia.

“Siamo partiti da fatti che sono capitati a gente a noi vicina – dicono i registi in conferenza stampa – le cose cambiano a seconda di quale passaporto hai e volevamo mostrarlo in un luogo chiuso, con davanti qualcuno che ha una certa autorità. Nel processo di scrittura quello che ci interessava era l’esperienza personale che abbiamo avuto. Ricordavamo momenti che ci sono capitati, il dettaglio di come ci parlavano, di come ci aggredivano e ci interrogavano. Cercavamo soprattutto di ricordare delle sensazioni vissute in quei momenti. La sfida era concentrarci sulla stanza, ci ha fatto da bussola. Le informazioni dello spettatore sono le stesse dei personaggi. Conosciamo la loro vita proprio attraverso l’interrogatorio e questo accompagna la conoscenza dei personaggi stessi”.

I due definiscono la pellicola “un thriller sociale, più che psicologico. In questo elemento si cela la componente politica del film, che viene sottolineata come a qualcosa di appartenente agli Stati Uniti, di solito. Ma c’è anche in Europa. Si emigra per migliorare la propria vita, ma in questo caso le potenze maggiori vogliono sfruttare le risorse senza accettare nuovi cittadini, il che è un paradosso. Abbiamo cercato come migranti quello che pensavamo potesse migliorare la nostra vita”.

Circa l’interrogatorio “è un modo di dare potere alla parola, alla verbalità. Il linguaggio è usato subdolamente per mettere alle corde i protagonisti”.

Commenta invece la protagonista Bruna Cusì: “C’è un momento poi non inserito nel film in cui si metteva sul tavolo la possibilità di un’infedeltà. Ci sono tante ipotesi attorno al mio personaggio. Questo significa che non è un film di buoni e cattivi. C’è comunque un certo maschilismo perché lei è minacciata attraverso la propria carriera, piuttosto che attraverso quella del suo compagno”.

Chiudono Rojas e Vásquez :“Condividiamo il lavoro alla pari. Ci siamo influenzati entrambi verso una direzione dove tutta la squadra aggiungeva qualcosa. Chiunque abbia lavorato al film ha aggiunto qualcosa. La politica degli Stati Uniti è sempre stata restrittiva in termini di immigrazione. Poi è arrivato Trump e la sua presenza rischiava di essere deleteria perché poteva capitare che si normalizzasse un certo tipo di atteggiamento. Anche Biden prosegue con una certa politica, ma dato che c’è stato di peggio, si rischia che la sua immagine ne esca più pulita di quello che dovrebbe”.

Aggiunge l’attore protagonista Alberto Amman che l’estremismo crescente nel mondo non lo sorprende: “è un’ideologia portante nel mondo di oggi. Lo vedete anche qui in Italia con la Meloni. E’ propaganda, magari non faranno il muro ma è un modo per mantenerci divisi. Non si possono instaurare amicizie tra persone di destra e di sinistra, ho visto famiglie rotte e fratelli che non si parlano per questioni di politica. Mi sembra una cosa infantile. Il copione era scritto molto bene, mi sono potuto ispirare ad alcuni amici, alla paura, al modo di guardare le cose nel mondo in maniera paurosa. Un contatto con la paura quasi incosciente, anche quando sono rilassati. Personalmente non ho mai subito questo tipo di minaccia, ma a ogni proiezione del film delle persone mi dicevano che avevano vissuto qualcosa del genere. Non una violenza carnale, ma comunque un abuso e una violazione dell’intimità.

Thriller, cinema da camera, documentarismo, sono tutti elementi che il film comprende: “Abbiamo molto improvvisato, tutto sommato per poco tempo. 17 giorni di riprese per due giorni di prove. ma ho capito che funzionava quando, spenta la camera, continuavamo ad attaccarci tra noi come i personaggi”.

 

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25 Gennaio 2023

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