Uno squalo al Lido


VENEZIA – Ha aperto le proiezioni stampa di quest’anno, Shark 3D di Kimble Rendall. Ma è più d’impatto il titolo originale, Bait, che suona come ‘esca’. Laddove le esche sono un gruppo di sfortunati che, intrappolati sotto le macerie di un centro commerciale devastato da uno tsunami, si trovano – come se la iella non fosse già abbastanza – a dover fare pure i conti con due famelici squali bianchi che la marea ha portato con sé come ‘gentile’ omaggio. Uno dei pochi film di genere, un horror in piena regola, coproduzione insolita, cino-australiana, che omaggia naturalmente il celebre antecedente spielberghiano, nell’ondata autoriale che caratterizza la 69ma Mostra capitanata dal neo-direttore Alberto Barbera. Il regista incontra oggi la stampa, ancora incredulo: “Quando mi è arrivata la mail che mi annunciava la partecipazione del film alla Mostra, pensavo si trattasse di uno scherzo – dice – Il mio obiettivo era quello di fare il tipico film per adolescenti, che vanno al cinema con la fidanzatina e approfittano dei momenti spaventosi per abbracciarla. 90 minuti di intrattenimento puro, che spero possa divertire il pubblico”.

 

E l’obiettivo, per Rendall – autore di videoclip, esperto di visual effects, musicista con la band The Hoodoo Gurus e finora autore di un solo altro lungometraggio, Cut in 2000 – può dirsi pienamente riuscito. Il film ha ritmo e vanta anche una spettacolare sequenza di tsunami, che ricorda, per impatto e realismo quasi documentaristico, quella vista in Hereafter di Clint Eastwood. “Sì, il realismo era uno dei nostri obiettivi – dice Rendall – tanto che abbiamo cercato di fare il più possibile con vere cisterne e veri stunt, e di limitare il digitale. Gli effetti speciali con l’acqua sono sempre molto complicati. Ma il software migliora di giorno in giorno e io, che mi sono occupato per anni di visual effects, ho accumulato l’esperienza sufficiente per poter affrontare la sfida di un film come questo, con budget limitato. Vengo dalla cultura pop, e quando il produttore, Gary Hamilton, mi ha proposto di salire a bordo su un film che parlava di squali in un supermercato, ho detto subito: ‘Ok, ci sto’. In verità il progetto doveva essere realizzato da Russell Mulcahy – regista, tra gli altri, del cult Highlander, NdR. – ma poi lui ha dovuto spostarsi su un altro film, così si è limitato alla produzione esecutiva. Poi, naturalmente, c’è il 3D: è uno strumento e una possibilità in più, e dato il genere spettacolare, la scelta di usarlo è stata naturale. La tecnologia ormai ne consente un uso molto semplice: ho lavorato in 3D, ma come se fosse 2D. E ogni giorno potevo vedere il girato in stereoscopia. Inoltre, abbiamo sviluppato noi stessi il software, diventando una specie di piccolo laboratorio, e quel che abbiamo fatto confluirà nella realizzazione delle pellicole 3D che vedrete in futuro, ad esempio il prossimo film di James Cameron“.

 

Certamente, i riferimenti alla cultura pop non mancano. Il centro commerciale ricorda immediatamente l’ambiente in cui si svolgeva Zombi di Romero: “Per me è il luogo da incubo per eccellenza – dice scherzosamente Rendall – ogni volta che ci vado resto accecato dalle luci, assordato dal rumore, intrappolato nel parcheggio e per giunta non riesco mai a trovare quello che mi serve. Il film, più che allertare la gente contro gli squali, mira a tenerla lontana dallo shopping! L’outlet lo abbiamo ricostruito in studio, pezzo per pezzo. E, casualmente, abbiamo girato il film in sequenza, prima le scene senza acqua, e poi quelle dove l’ambiente era inondato, dopo lo tsunami. In questo ambiente surreale abbiamo vissuto noi stessi per 9 mesi. Era come un altro mondo, l’aldilà, potremmo dire, o lo spazio profondo. E’ una situazione rovesciata, dove il cibo galleggia in acqua e le persone, ora pasto per gli squali, stanno sugli scaffali per salvarsi. I personaggi sono un piccolo compendio dell’umanità. Qualcuno potrebbe pensare che sono stereotipi, e d’altro canto in un film del genere non hai tanto tempo, quindi devi usare dei carachter consolidati. E’ una fetta di società. E sembrava un po’ di essere in teatro. Ogni giorno gli attori venivano e assumevano la posa del giorno precedente. Ma alla fine, ricordiamoci sempre che è un horror, e l’obiettivo principale era divertire e spaventare”.

Simpatico e alla mano, il regista racconta volentieri anche qualche aneddoto della sua vita professionale: “Ho vissuto sei mesi in Italia per lavorare sulla seconda unità di Casanova. Dissi alla troupe: se imparo dieci parole di italiano, mi date la cittadinanza? Ne ho imparate quattro. Ma non ditelo in giro, sono italiano. Quindi spero che il film avrà molto successo qui da ‘noi'”, dove il film arriverà con Medusa il 5 settembre.

La chiusura è in musica, con una curiosità: “Con una nuova band ho scritto la colonna sonora della pellicola, che vorrei far uscire in cd. Musica e cinema sono passioni che ho seguito in parallelo, a 12 anni ho avuto la mia prima chitarra e la prima cinepresa Super 8”.

autore
01 Settembre 2012

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