“Under the Same Moon”: immigrazione e amore in Messico


Under the Same MoonOggi ad Alice nella città è protagonista l’amore. Non quello che fa romanticamente battere il cuore a due giovani innamorati ma quello che spinge una madre ad abbandonare il proprio figlio inseguendo il sogno di dargli una vita migliore. Under the Same Moon è la storia familiare di Carlitos, uno dei tanti bambini lasciati in Messico dai propri genitori immigrati clandestinamente in America e di Rosario, cameriera da quattro anni a Los Angeles che cerca di racimolare la somma necessaria per pagare l’avvocato che le potrebbe far riabbracciare il suo adorato bambino. E nel frattempo manda i soldi a casa e attende pazientemente la domenica mattina, giorno in cui da quattro anni compone il numero di una cabina pubblica messicana dove suo figlio aspetta una chiamata che superando ogni distanza e confine lo farà parlare con lei. Presentato in concorso ad Alice nella Città Under the Same Moon parla di quelle quattro milioni di donne latino-americane che rischiando ogni cosa hanno lasciato a casa i propri affetti per andare a lavorare in America alla ricerca di un tenore di vita migliore. “L’unica ragione per cui hanno fatto tutto questo è l’amore. L’amore per i genitori, per i figli, per la famiglia” spiega la regista messicana Patricia Rigger. “Questo è secondo me straordinario: gli immigrati messicani sono davvero generosi ed eroici. Ho voluto parlare dei loro desideri, dei loro sogni, delle loro paure e questo film è loro dedicato”. Ogni riferimento nazionalista è però superato dalla relazione universale tra madre e figlio e il titolo stesso della pellicola sta a indicare una luna che sovrastando ogni desiderio umano lancia un segnale forte di uguaglianza: ogni uomo è  “sotto la stessa luna”. Ma la luna è anche l’elemento fisico che tiene legati sempre e ovunque madre e figlio che trovano nell’idea di una visione comune una consolazione alla loro malinconica solitudine.

L’improvvisa morte della nonna cui Carlitos è stato affidato da piccolo spinge il bambino a prendere in mano la propria vita e il proprio destino nel tentativo di ricongiungersi alla madre. La sua è una piena e coraggiosa presa di coscienza su ciò che vuole della sua vita: “Sei tu l’unica cosa di cui ho bisogno”, dice un giorno alla madre in una telefonata. Con un viaggio senza paure e preconcetti nel mondo dell’immigrazione clandestina, la regista ci fa attraversare con leggerezza la violenza ma anche la solidarietà di chi vive ai margini perennemente sotto la minaccia del rimpatrio, e mostra la caparbietà e il coraggio che può avere un bambino di nove anni che insegue il suo obiettivo. Una metafora di ciò che ognuno potrebbe e dovrebbe fare per se stesso.

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23 Ottobre 2007

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