Una battaglia vinta e una persa contro la leucemia

Guarito da una leucemia mieloide acuta, il 35enne autore di Luce mia, presentato a Festa Mobile, è tornato all’Ospedale Mauriziano di Torino e ha incontrato Sabrina "che è diventata il mio specchio"


TORINO. “Cinque anni fa mi sono ammalato di leucemia. Oggi la malattia è in remissione, ho una famiglia, una vita ‘normale’, ma continuo ad avere paura. Così ho deciso di tornare in reparto alla ricerca di quella parte di me che sentivo di aver perso. Lì ho incontrato Sabrina che stava lottando contro il mio stesso male, e insieme abbiamo deciso di percorrere la sua battaglia, la nostra battaglia, alla ricerca di quell’attimo in cui si smette di essere pazienti e si torna a esseri umani”. A parlare è Lucio Viglierchio, il 35 anne autore di Luce mia, presentato a Festa Mobile, girato in gran parte nell’Ospedale Mauriziano di Torino dove il regista rivive le tappe obbligate della terapia, l’angoscia della malattia ad alto rischio, la paura di non farcela.

Quel posto che Viglierchio ha lasciato è ora occupato da Sabrina, una nuova paziente che vediamo vivere quel calvario medico e di cure, anzi peggio, in un’altalena di speranza, rabbia e rassegnazione. Scorrono davanti alla videocamera le giornate di Sabrina, tra medici e infermieri – ma c’è anche un temporaneo rientro a casa –  mentre il suo corpo è sempre più indebolito e sofferente, ma il pensiero resta lucido e consapevole.
Il dialogo tra lei e il regista si fa sempre più intenso e profondo, senza censure e finzioni. Fino al desiderio finale espresso da Sabrina, nell’ultima fase della malattia quando il trapianto di midollo non va a buon fine, che nel caso lei morisse di portare a termine il documentario e comunque mostrarlo.

Luce mia – così al posto della parola leucemia la compagna del regista chiama la malattia – nasce nel momento in cui il regista, dopo le cure, torna alla vita normale, ma nonostante la nascita di una figlia vive la sensazione di una felicità a metà. “Ho deciso allora di tornare in quelle stanze di ospedale perché era il modo più giusto di ritrovare me stesso. All’inizio ho descritto l’isolamento terapeutico, il dolore delle cure. Poi ho incontrato Sabrina ed è diventata il mio specchio, quello che io ero, la stessa età e allora senza figli. Nei suoi occhi c’erano la mia paura e quell’assenza di un equilibrio”.
Sabrina accetta di essere seguita, pedinata dalla videocamera forse perché il regista incarna la speranza e solo lui, che ce l’ha fatta, può capire quella paura. Da quell’istante l’autore lavora in modo istintivo e spontaneo e il prodotto finale è il risultato di un lungo montaggio.

Rai Cinema figura tra i produttori di Luce mia perché persegue in modo tenace il cinema del reale – spiega Paola Malanga, responsabile dell’Area Prodotto – Questo film, che non è un reportage né un’inchiesta, è tra i documentari più sinceri e potenti che abbia mai visto sulla malattia che inizialmente ti isola. Perciò è importante che il dolore vada condiviso. Sabrina fa dono di sé con una generosità commovente e totale e nessuno di noi  la dimenticherà”.
Tra i produttori c’è anche il Piemonte Doc Film Fund che, come ricorda il direttore della Film Commission Torino Piemonte Paolo Manera, è nato proprio con l’intento di sostenere il cinema del reale.
Luce mia, in attesa di una distribuzione in sala e del passaggio televisivo, è nel frattempo sostenuto da Movieday, la piattaforma web che consente a chiunque di organizzare proiezioni a richiesta nelle sale cinematografiche.

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