Un thriller dell’anima per Roberto Herlitzka


E’ un thriller spirituale Sette opere di misericordia, per Roberto Herlitzka. E la definizione, buttata là dall’attore torinese viene subito accolta dai due registi, Gianluca e Massimiliano De Serio, autori di questa affascinante opera prima che ha fatto incetta di premi in tutto il mondo, da Locarno a Marrakesh, fino al Premio Navicella assegnato dal cattolico Ente dello Spettacolo. Sulla spiritualità non c’è da dubitare, anche perché “il cinema ha a che fare col sacro”, mentre il thriller sta nell’angoscia in cui è sospeso l’esito di una vicenda che, a partire dalle evangeliche opere di misericordia corporale, traccia un percorso di discesa agli inferi e redenzione che coinvolge due personaggi apparentemente senza speranze: la giovane Luminita, clandestina affamata e sola, bramosa di vita, e il vecchio Antonio, altrettanto disperato e abbandonato, affetto da un male incurabile che gli ha strappato la voce. Senza parole e senza una lingua comune, tra questi esseri umani si stabilisce un contatto profondo quanto inatteso che è il cuore di un’opera volutamente aperta dove la bellezza e l’abiezione si sfidano.

 

Interpretato anche da Ignazio Oliva e Stefano Cassetti, prodotto da Alessandro Borrelli (La Sarraz) con il contributo del MiBAC, della Rai e del Fip (Film Investimenti Piemonte), attraverso un percorso produttivo durato più di sei anni, Sette opere di misericordia – già al Torino Film Festival – sarà in sala dal 20 gennaio in una ventina di copie con Cinecittà Luce. Mai come in questo caso in linea con la missione di scoprire nuovi autori. Come questi due torinesi, classe 1978, gemelli che vivono artisticamente quasi in simbiosi, tanto da avere un solo computer a cui si alternano per lavorare, benché complementari per formazione (cinema e arte). Adesso stanno già pensando a un nuovo progetto, ispirato a quello che chiamano l’undicesimo comandamento: “Ama il prossimo tuo, come emerge dalla riflessione congiunta del priore di Bose Enzo Bianchi e del filosofo Massimo Cacciari“.

 

Qualcuno li paragona ai fratelli Dardenne, e non solo per la parentela anagrafica, loro puntualizzano: “Forse la storia che raccontiamo sembra appartenere a un universo simile, ma il nostro approccio è quasi opposto, teniamo ferma la macchina da presa e lasciamo che sia la realtà a muoversi, quindi qualsiasi cosa può accadere , in grande libertà, e gli attori si mettono a nudo… Se dobbiamo fare un parallelo con altri autori, pensiamo piuttosto a Bresson e semmai ai fratelli Lumière“. A nudo, anche fisicamente, si è messo Roberto Herlitzka, l’Aldo Moro di Buongiorno notte. “Noi attori siamo un po’ esibizionisti, ma questa volta non è stato facile spogliarsi né fisicamente né psicologicamente. Certo, non ho molto in comune con il personaggio e ho dovuto cercare quella piccola parte di me che gli somiglia, è stato uno scavo emozionale forte, in cui ha giocato anche l’affascinante confronto con una ragazza molto giovane, l’accostamente tra un vecchio e una giovane, specialmente in un rapporto puramente platonico, è un’immagine estremamente significativa”. Con l’attrice romena Olimpia Melinte non c’era una lingua in comune, ma solo gli sguardi e una forte complicità sulla scena. Addirittura Massimiliano racconta un certo disappunto di Herlitzka nell’avvicinarsi a questa figura di uomo indurito dal dolore, personaggio che raccoglie l’eredità del nonno dei registi, accudito da loro negli ultimi mesi della sua vita. “Antonio, come Luminita, è uno straniero, arrivato a Torino negli anni ’50 dal Sud, come anche nostro nonno. Ma per noi l’immigrazione è metafora di una condizione umana, prototipo della crisi d’identità nella società contemporanea. Per questo anche nei nostri lavori precedenti, corti e documentari, ci sono figure di stranieri, espatriati e clandestini, qualcosa che è rimasto sottotraccia ed è confluito in questa prima opera di finzione”, spiega Gianluca.

 

I due autori preferiscono evitare le semplificazioni e gli schemi interpretativi. “Non abbiamo fatto certo un film sull’immigrazione o sulla spiritualità, i nostri personaggi sono specchi della realtà che ci circonda a Torino, viviamo davvero tra la Falchera e Barriera di Milano, un quartiere dove le nostre famiglie di braccianti del Sud sono arrivate negli anni ’50 per lavorare alla Fiat e che oggi è abitato anche da molti extracomunitari. Ma non ci sorprendono, sono i nuovi italiani e noi li abbiamo spesso ritratti”. Proprio alla Falchera sta per nascere, il 7 febbraio, una Società di mutuo soccorso cinematografico, come la chiamano loro, sorta di antiscuola di cinema e laboratorio permanente di audiovisivo che sarà aperto a tutti e gratuito. Molto legati al quartiere, i De Serio lo considerano quasi metafisico. “Ma il nostro punto di vista non è né estetizzante né documentaristico, non siamo osservatori esterni, ci confondiamo con l’oggetto osservato, siamo formiche tra le formiche”. Anche per Herlitzka, che vedremo anche nel nuovo Giuseppe Piccioni Il rosso e il bluSette opere “potrebbe essere confuso con i molti film sull’immigrazione, invece è una rappresentazione di estrema raffinatezza formale dove la forma diventa necessaria, per esempio il fatto che le azioni siano espresse in tempo reale crea una suspense spirituale”. Anche di questo si parlerà nel convegno alla Luiss venerdì 13 gennaio con studiosi e sacerdoti, oltre che con Gianluca De Serio.

autore
12 Gennaio 2012

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