“Casa” è soprattutto un concetto di agio dello spirito, non necessariamente la dimora in cui si mangia e si dorme, non quella che offre un tetto sopra la testa, perché se tra le “quattro mura” non ci fosse serenità non si avrebbe la sensazione di essere liberi, di avere lo spazio riservato a noi stessi, il tempo che ci piace disegnarci senza obblighi, o i compiti resi gradevoli dal contesto: “casa”, senza la pace domestica e l’integrazione concreta tra gli abitanti dello spazio comune, sarebbe solo un concetto edile, non sufficiente all’essere umano.
È con questa sensibilità che Dieter Bachmann, insegnante, cerca di rendere “casa” la scuola, una scuola di una città tedesca, Stadtallendorf, con una complessa storia di integrazione razziale. Un “professor Keating” (L’attimo fuggente, ndr) tedesco e contemporaneo, capace lui di cogliere l’attimo storico e sociale e restituirsi geniale, nello spirito e nella pratica, offrendo ai suoi allievi – dai 12 ai 14 anni – la sensazione concreta di sentirsi in un nido sicuro.
L’età della pensione è alle porte, la serenità che può conseguire quindi anche, ma l’insegnamento dovrebbe essere mosso da una passione viscerale – prima che per la trasmissione del sapere – per la cura dell’individuo, e così il professor Bachmann non pensa al proprio tranquillo futuro imminente, ma a far qualcosa che possa davvero dar significato alla missione di educatore e di uomo: alla scuola di Stadtallendorf – in particolare nel doc sono protagoniste le classi 6b e 6f – la lingua tedesca per molti allievi è ancora tutta da imparare e quindi si fa limite per comunicare, per stabilire rapporti, così come la provenienza etnico-culturale è molteplice, non sempre di immediata commistione.
Bachmann, con l’entusiasmo del “primo giorno di scuola”, cerca nello stimolo della curiosità la chiave di volta, sollecitando chi guarda (lo spettatore) a fare un’importante riflessione sul fondamentale ruolo che insegnanti e scuola intelligenti potrebbero sempre avere nel contribuire preziosamente ad un’integrazione che fosse naturale, morbida, spinta dal desiderio di conoscere ciò che non appartiene alla propria estrazione culturale, senza timore del diverso da noi stessi.
L’eroismo è spesso – e semplicisticamente – pensato come un valore proprio di esseri che indossano laccate e luccicanti armature avveniristiche, capaci di mettere in pratica super poteri inarrivabili per l’essere umano, ma Mr Bachmann and His Class (Herr Bachmann und seine Klasse) confermano come l’eccezionalità, e l’eroismo, siano molto più concretamente propri dell’ “uomo della porta accanto”, come il signor Dieter, ovvero il professor Bachmann, che ci presenta l’autrice bavarese Maria Speth, con il suo documentario in Concorso al Festival di Berlino 2021, la cui Giuria – che include anche Gianfraco Rosi – ha premiato il film con l’Orso d’Argento – Premio della Giuria.
Un documentario come fosse una mattinata scolastica, quasi quattro ore di film, 217’ minuti, tutti necessari a immergersi tra i banchi e la cattedra: un mondo – parola, quest’ultima, non solo intesa come dimensione spaziale della classe, ma vero e proprio globo di culture – che Mr Bachmann e i suoi allievi tutti i giorni portano in aula, portano in casa, come se le due – classe e casa – fossero canali comunicanti e, soprattutto la prima, si fa carico concreto di vestire la missione di educazione alla vita e alle persone che ogni individuo dovrebbe aver l’opportunità di apprendere, per poi applicare.
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