“Un’ora sola ti vorrei” ritorna a Locarno

il primo film di Alina Marazzi all'edizione numero 70 del Festival


LOCARNO – È stato un gradito ritorno quello di Alina Marazzi a Locarno, che a distanza di quindici anni dalla prima proiezione ripropone nel suo primo giorno di Festival – quest’anno alla settantesima edizione – uno dei film più belli ed emozionanti della regista milanese. Stiamo parlando di Un’ora sola ti vorrei, presentato nella sezione competitiva nel 2002 e premiato con una menzione speciale della giuria e poi vincitore al Festival di Torino dello stesso anno come miglior film documentario.

“Le occasioni per rivedere Un’ora sola ti vorrei in questi anni non sono mai mancate – racconta la Marazzi – spesso mi viene chiesto di presentarlo e di discuterne, perché è un film stratificato che è stato oggetto di studio anche in sede accademica. Devo dire che saperlo nuovamente a Locarno dopo tanti anni mi ha emozionata non poco. Proprio qui infatti il film ha iniziato il suo percorso passando dall’essere un lavoro intimo, fatto per me, per ricostruire una parte della mia memoria familiare, a qualcosa da poter condividere anche con altri. Locarno è stata la prima occasione di mostrare questo film in pubblico: qui ho capito che forse avevo fatto un buon lavoro, apprezzato dai critici e dagli spettatori. Ricordo ancora con emozione le lunghe code davanti alla sala in cui si replicava il film. Sono felice che Carlo Chatrian abbia scelto di riproporlo. È la dimostrazione dell’attenzione che questo festival da sempre riserva ai documentari e ai film fuori formato”. 

Un’ora sola ti vorrei ricostruisce attraverso i filmini amatoriali di famiglia (dagli anni ’20 agli anni ’80), i super8, le lettere, i diari e un vecchio nastro registrato la vita di Liseli Marazzi, madre dell’autrice, morta suicida dopo una lunga lotta contro la depressione. L’amalgama volutamente eterogenea di tutti questi elementi è una strada ancora poco battuta all’inizio degli anni Duemila, e dà il via a uno stile che Alina Marazzi ripropone anche nei successivi film, caratterizzandola in maniera sempre più personale: “da sempre questa è la cifra del mio lavoro: il racconto in prima persona, in soggettiva, l’utilizzo di materiali molto diversi fra loro e le immagini di repertorio che per me sono sempre fonte inesauribile d’ispirazione. Il mio è un cinema che deriva da quello in presa diretta e sono felice che in questi ultimi anni questo tipo di documentario stia avendo un certo successo. Ricordo che subito dopo aver realizzato Un’ora sola ti vorrei rimasi folgorata da Tarnation di Jonathan Caouette, che uscì l’anno successivo al mio e che pur essendo un film molto diverso aveva molte corrispondenze con il mio lavoro”. E anche sul festival Alina Marazzi si esprime con grande affetto: “il bello di questa manifestazione è che mette insieme i cinefili e il pubblico pop; è un festival di ricerca ma nello stesso tempo attento ad intercettare anche i gusti del grande pubblico. Un’identità ibrida che in fondo parte proprio dalla doppia natura di questa manifestazione, italiana da una parte e svizzera dall’altra”. 
Ma se i progetti del passato continuano ad avere grande eco e grande importanza nel percorso di Alina Marazzi non meno rilevanti sono quelli futuri, che in questo momento non contemplano il cinema ma l’opera lirica. Il 29 settembre ai Teatri di Reggio Emilia infatti è fissato il debutto di Hay: le parole la notte, opera scritta da Alessandro Leogrande e composta da Mauro Montalbetti: “Questa è la mia seconda volta con l’opera lirica. La prima avevo collaborato allo spettacolo Il sogno di una cosa, per il quarantesimo anniversario della bomba di piazza della Loggia. Ora invece si tratta proprio di una regia, il tema è quello dell’immigrazione e anche questa volta non rinuncerò alle proiezioni e al lavoro con i filmati d’archivio, che in questo caso sono quelli dell’Istituto Luce.”

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02 Agosto 2017

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