“Un nemico invisibile”: alle GdA il documentario-verità sull’omicidio Rasman

A Venezia 79 il film di Riccardo Campagna e Federico Savonitto su una pagina oscura della giustizia italiana


Il 27 Ottobre 2006, Riccardo Rasman, secondo e ultimo figlio di una famiglia di contadini istriani esuli in Italia dagli anni sessanta, viene brutalmente ucciso nella sua abitazione durante un intervento della Polizia. Riccardo aveva 34 anni e soffriva di schizofrenia paranoide.

Del drammatico caso si occupa il docu – film di Riccardo Campagna e Federico Savonitto, che passa a Venezia 79, alle Giornate degli Autori nella sezione ‘Isola di Edipo’.

Quella sera Rasman era solo in casa, nudo, e stava tirando dei petardi dall’ottavo piano. La Polizia, chiamata dai vicini di casa, era stata avvertita dal centralino del fatto che il soggetto soffriva di patologie psichiche; ciononostante agì con la forza bruta, sfondando la porta che Riccardo non voleva aprire. Dai referti risulta che lo pestarono duramente, legandogli mani e piedi con del fil di ferro ed infine sedendosi sul suo corpo incaprettato, fino ad asfissiarlo. Riccardo, all’arrivo della polizia, si era barricato in casa perché terrorizzato dalle forze dell’ordine. Questa fobia gli proveniva dal nonnismo subito durante la leva militare, scaturigine, per altro, dei suoi problemi psichiatrici. Non sussisteva alcuna ragione per sfondare violentemente la porta, sarebbe bastato richiedere l’intervento di un infermiere o assistente sociale. Si sarebbe potuto risolvere tutto serenamente. Sul tavolo della cucina Riccardo aveva lasciato un bigliettino con su scritto: “Per favore, per piacere, per carità, non fatemi del male. Non ho fatto nulla di male.”

La sorella Giuliana, insieme ai genitori, non ha mai smesso di cercare verità e giustizia. “Era martoriato di botte sul viso – dice – gli avevano rotto lo zigomo. Aveva un segno di imbavagliamento, sangue dalle orecchie, dal naso, dalla bocca. […] I capelli erano tutti pieni di sangue. C’era sangue sul tavolo, sui muri, sulle lenzuola, dietro il letto per terra, c’erano chiazze sul tappeto sotto il quale abbiamo trovato persino dei pezzi di carne nascosti”.

Per la famiglia la blanda condanna inflitta ai poliziotti è insufficiente, ma nessuno sembra disposto a prestare loro ascolto. Nel tentativo di elaborare un avvenimento così incomprensibile si fanno strada teorie ed interpretazioni alternative che diano conto di tutte le ingiustizie subite. Dietro la morte di Riccardo – racconta il doc – potrebbe esserci lo stesso nemico che da anni ordisce piani per appropriarsi del loro terreno. Ma la verità è ancora sfuggente. 

“Questo film – dicono i registi – nasce dal desiderio di approfondire una vicenda ingiustamente lasciata ai margini della cronaca, che porta in sé elementi di attualità che ci interrogano sui principi stessi della nostra cosiddetta civiltà. La morte ingiusta di Riccardo rivive in ogni gesto dei suoi familiari, tanto in quelli piccoli e impercettibili come sospiri, quanto in quelli grandi ed eclatanti come le proteste e le iniziative legali. Nel nostro film le battaglie e i fallimenti della famiglia Rasman stanno allo stesso livello delle loro quotidiane accettazioni e necessità, in quel divenire in cui si mimetizza l’evoluzione dei sentimenti. Accompagnando la ricerca inesausta dei nostri protagonisti con empatia e delicatezza offriamo agli spettatori uno spazio di immedesimazione in una fitta trama di emozioni contrastanti. Ci siamo serviti dello strumento della narrazione per rispettare la complessità di una vicenda che non può essere ridotta ad alcuna semplificazione. Da una storia con un forte tema civile ci connettiamo così con territori ancora più vasti e universali della condizione umana, come la necessità di dare un senso alla disperazione di una madre a cui viene tolto un figlio senza ragione”.

Naturalmente, forse anche per la presenza a Venezia, torna in mente l’intenso Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, ispirato al caso Cucchi, che nel 2018 aprì la sezione Orizzonti della Mostra.

“Il film di Cremonini, che vidi insieme alla mia compagna dell’epoca, mi scosse tantissimo – dice Campagna – e mi spinse a informarmi di più sul tema degli omicidi da parte delle forze dell’ordine. Un giorno casualmente entrai in contatto con la famiglia di Rasman. Avevo visto un video su Youtube che raccontava la morte di Riccardo in maniera molto diversa dai report ufficiali e quindi scrissi all’autore di quel video che si rivelò essere proprio Giuliana, la sorella di Riccardo. Parlando con Giuliana ho percepito subito la sua voglia di raccontare la propria storia e mi è sembrato naturale proporle di incontrarci. Con Federico avevo un ottimo rapporto dai tempi del CSC e abbiamo deciso di intraprendere l’avventura insieme”.

“Il caso – prosegue Savonitto – non mi era giunto alle orecchie nonostante nel 2006 io mi trovassi a Trieste per concludere i miei studi universitari, e nonostante la tematica mi stesse già allora molto a cuore. Dieci anni prima, nel ’96, era stato ucciso un ragazzo di San Vito al Tagliamento – Michail Piotr Tracanelli – dalla Polizia, e in quel caso non era stata fatta luce sulle responsabilità: io che in quegli anni ero iscritto al Liceo Scientifico della stessa cittadina e che frequentavo lo stesso giro di Michail, rimasi sconvolto, e decisi di scrivere la mia prima canzone su quell’ingiustizia. All’inizio abbiamo iniziato a frequentare i Rasman soprattutto per documentarci, e pensavamo fosse necessario, per rispettare la complessità della storia, utilizzare un linguaggio il più possibile composito: avevamo immaginato delle interviste per approfondire temi come il nonnismo, la migrazione istriana, la malattia mentale in una città come Trieste. Per un periodo breve abbiamo continuato di pari passo a seguire la quotidianità dei Rasman e altre piste parallele, che si sarebbero espresse attraverso l’intervista, ma anche attraverso un utilizzo del repertorio che immaginavamo come esplicativo di alcune tematiche importanti. Durante quel periodo anche l’ipotesi di metterci in scena come registi che entravano in contatto con il mondo dei Rasman ci sembrava potesse essere la scelta giusta. Mano a mano che conoscevamo persone esterne alla famiglia, facevamo ricerca e scrivevamo, ci siamo resi conto che la vera forza del film risiedeva nella vita quotidiana dei Rasman, nella dignità con cui vivevano il loro dolore, nelle loro fatiche, nei loro volti e, perché no, nel loro linguaggio”.

QUI UNA CLIP DEL FILM:

 

LA PAROLA AI REGISTI:

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