Qualche considerazione sulla XIV Retrospettiva sul cinema italiano, il cosiddetto “Evento Speciale” che si svolge da quasi un quindicennio, appunto, a Pesaro, lateralmente alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema.
Dopo le puntate dedicate agli anni Settanta, Ottanta e al “nuovo cinema italiano”, l’Evento ha cercato di ragionare sul decennio di fine secolo: Anni Novanta, come suona il titolo di una commedia natalizia di questi anni. È possibile e vale la pena di parlare di un fenomeno ancora in corso come il film contemporaneo? Certamente sì, anche perché, se si fa un’analisi storica, molti sono gli elementi interessanti di questo periodo. Li si possono trovare nel volume edito da Marsilio, Il cinema della transizione. Scenari italiani degli anni Novanta (che ho curato appunto per l’occasione). Uno di questi elementi, quello che salta agli occhi, è l’evidente, avvenuto, ricambio generazionale (quello che ha portato Pani e tulipani di Soldini a stravincere i David di Donatello 2000), ma al tempo stesso la copresenza e la stratificazione di leve anagrafiche diverse.
Si tratta di un puzzle di generazioni di cineasti estremamente interessanti, e di un patchwork di opere, spesso non complete né armoniche, ma sintomatiche di una “mutazione” in atto: il cinema non è solo il lungometraggio tradizionale da un’ora e mezzo, ma il corto, lo sperimentale, il video, la videoarte e il videoclip, lo spot, il film misto di pellicola e di elettronica, girato in digitale e montato al computer. Un universo in sommovimento, in vulcanica trasformazione.
Tanto che è stato difficile scegliere una cinquantina di film, tra lunghi e corti, nello spazio dato all’interno del festival: ce ne sarebbero voluti almeno il doppio, per rappresentare tutti i cineasti degni di memoria, per segnalare i casi interessanti autorialmente e/o sociologicamente.
L’impressione, insomma, è che i film “belli” o comunque interessanti, o i segmenti di ottimo cinema anche in opere non completamente risolte, siano tantissimi. Questo nonostante il de profundis che quotidianamente si recita sul cinema italiano, nonostante l’obiettiva crisi dell’industria cinematografica, nonostante il cinema italiano sia straniero in patria.
È per questo che l’incontro che si è tenuto il 1° luglio ha lanciato uno slogan: “elogio del film italiano”. Elogio del “film”, e non del “cinema”, se per “cinema” si intendono il sistema, l’apparato, l’assistenza dello Stato, le sale, il pubblico, la televisione, ecc. Il cinema italiano è in crisi, forse fa schifo. Ma, paradossalmente, i film, spesso sono di grande qualità anche se fallimentari al box office. Sicuramente, al di là dello slogan un po’ provocatorio, i film degli anni Novanta sono di gran lunga superiori a quelli degli anni Ottanta, e forse dell’ultima fase dei Settanta. È già un risultato importante.
Ne hanno discusso a Pesaro cineasti vari: autori, sceneggiatori, attori, tecnici, critici. Tra i presenti, tra gli altri, i registi D’Alatri, Piccioni, Baldi, Cappuccio, Segatori, Grossi, Sixty (questi ultimi freschi d’esordio), lo sceneggiatore Arlorio, le attrici Cavallotti e Celentano. Insomma, una grande kermesse sul cinema nazionale, con uno sguardo retrospettivo, un po’ di autocritica e un po’ di autovalorizzazione. Con la convinzione di non piangersi mai più addosso (come ha fatto qualche giorno dopo Nanni Moretti presentando la sua rassegna “Viva l’Italia!” al cinema Sacher), di non parlare solo di legge sul cinema, di fondi di garanzia, di distribuzioni sbagliate, di incassi impossibili, di produttori indipendenti al collasso, ma anche di estetica, di tematiche, di luoghi di un immaginario che, attraverso il cinema, costituirà la memoria storica per le generazioni a venire.
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