TORINO – Come ci sente a essere lo Stephen King dei poveri? Lo chiedono al personaggio di Val Kilmer, scrittore dalla vena esaurita appena arrivato in una specie di villaggio fantasma dell’America profonda con uno scatolone pieno delle copie del suo ultimo romanzo gotico, l’ennesima storia di streghe, insieme a una buona scorta di whisky irlandese di cui fa largo uso. È la miglior battuta di Twixt, il film di Francis Ford Coppola che chiude domani il Torino Festival. Come in Tetro, anch’esso transitato qui nel 2009 dopo aver inaugurato la Quinzaine di Cannes, le carte da giocare sono basso budget e sperimentazione visiva con l’alternanza di colore e bianco e nero e, in questo caso, qualche brevissimo inserto in 3D (annunciato dall’apparizione degli occhialetti sullo schermo). Ormai è questo il marchio di fabbrica del grande cineasta che nella fase finale della sua carriera insegue le sue personali ossessioni, in questo caso l’horror vampiresco come pretesto per parlare della sua storia familiare. Il film, che sarà distribuito da Movies Inspired in Italia, ha deluso molti spettatori nonostante qualche momento di magia visiva e il curioso omaggio all’antesignano del genere horror nell’America dell’Ottocento, Edgar Allan Poe che compare in scena (lo interpreta Ben Chaplin) per rivelare allo smarrito protagonista i segreti della sua scrittura in una specie di straniante lezione di creative writing.
Riguardo al 3D, Coppola è convinto che sia giusto usarlo col contagocce, per rendere alcune sequenze particolarmente efficaci e non di più, ed è esattamente quello che ha fatto. Deciso a non rendere conto a nessuno, né alla critica né ai produttori, il regista di Apocalypse Now e Bram Stoker’s Dracula teorizza: “Arrivato a 72 anni, se faccio un film deve soddisfare tre requisiti: essere una storia originale, contenere elementi personali ed essere autofinanziato con la American Zoetrope. Quest’ultimo aspetto è molto importante perché mi libera dalle restrizioni che un finanziatore potrebbe impormi”.
Nelle note di regia racconta anche la genesi del progetto, nato dopo una notte alcolica trascorsa a Istanbul, dove era andato alla ricerca di location a basso costo e ispirazione. Coppola aveva bevuto un po’ troppo raki e fu visitato da un sogno horror, nello stile di Nathaniel Hawthorne ed Edgar Allan Poe. “Quando mi svegliai al mattino, ridestato dal suono della preghiera islamica, la storia era praticamente quasi tutta là”. Un mediocre scrittore di gialli (Val Kilmer, ingrassato e notevolmente invecchiato) finisce a Swann Valley. L’attrazione locale è una torre con sette (sette è il numero feticcio di Coppola e compare in tutti i suoi film) orologi che indicano ognuno un’ora diversa e che, si dice, ospiti il demonio. Inoltre, subito fuori dal paese, c’è un vecchio hotel in disuso dove si è consumata una strage degli innocenti molti anni prima, mentre lungo il lago fanno campeggio dei giovani che lo sceriffo, scrittore dilettante di gialli (Bruce Dern) sospetta di essere adoratori di Satana. Infine tra fumi dell’alcol e sonniferi vari al protagonista appare una ragazzina con l’apparecchio ai denti (Elle Flanning) che è una specie di vergine vampira tutta vestita di bianco e si chiama infatti Virginia. Ma soprattutto il nostro eroe è tormentato dal ricordo della figlia, morta annegata, una circostanza decisamente autobiografica, perché lo stesso Coppola nel 1986 perse il figlio primogenito, Gian-Carlo, decapitato durante una gita in motoscafo .”Non avevo capito che girare questo film mi avrebbe portato ad affrontare cose che non avevo mai ammesso neppure a me stesso – confessa il cineasta italo-americano, papà anche di Sofia e Roman – ogni genitore si sente responsabile per ciò che accade ai propri figli e io mi sento responsabile per quello che è avvenuto 25 anni fa, continuo a pensare che avrei dovuto essere con Giancarlo”. Insomma, nonostante le mille citazioni di genere, il fantasma che vampirizza le notti dello scrittore (e del regista) è molto meno letterario di quanto sembri a prima vista.
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