Tullio Solenghi dà voce a Gino Bartali, “l’Oscar Schindler su due ruote”

L’intervista all’attore che, nel film animato 'La bicicletta di Bartali', in anteprima a #Giffoni54 e al cinema dal 1 agosto, interpreta il grande campione. L’idea è di Israel Cesare Moscati, che ha scritto il film con Marco Beretta: regia di Enrico Paolantonio. Il brano di chiusura è di Noa


GIFFONI – Un campione delle due ruote in un tempo che sembra lontanissimo, almeno per l’anagrafe di un pubblico come quello di Giffoni, ma ci sono persone e imprese che non subiscono il trascorrere del tempo, che anzi fa da megafono al mito, sportivo e umano, quando si parla di uno come Gino Bartali, professionista dal 1934 al 1954, e adesso protagonista di un film animato, La bicicletta di Bartali, che arriva in anteprima #Giffoni54 e poi al cinema dal 1 agosto 2024.

È un’impresa che nasce italiana, e si finalizza produttivamente con Irlanda e India, da un’idea di Israel Cesare Moscati – scomparso nel 2019, a cui il film è dedicato -, che ha partecipato alla scrittura del film con Marco Beretta, regia di Enrico Paolantonio, character design di Corrado Mastantuono, background design di Andrea Pucci, musiche di Marcello de Toffoli, per una produzione Lynx Multimedia Factory, Rai Kids, Toonz Media Group, Telegael.

Chi sia Gino Bartali, almeno i più adulti lo sanno senza indugio, ma Gino Bartali, per questo film, è Tullio Solenghi, che gli ha dato una voce che è molto più di un colore vocale, perché ha un’anima vibrante, che restituisce l’essenza umana della persona.

Solenghi, siamo nel tempo dell’invasione dei super eroi, che siano quelli più positivi della finzione cinematografica, o quelli distorti mitizzati dalla Rete: cosa significa oggigiorno essere ‘eroe’? 

Credo che oggi il super eroe sia chi, compiuto l’atto di eroismo, si nasconda tranquillamente tra la folla come una persona qualsiasi, che non specula sul suo atto, a maggior ragione se è stato fatto con assoluta volontarietà, determinazione, e così era Bartali, per cui del suo atto non s’è mai saputo, finché non è emersa la cosa; credo che questo tipo di atto di eroismo sia il più sublime da apprezzare in una persona. Lui ha sempre trattato questo atto come qualcosa di normale, come appartenesse al suo dovere di cittadino, di cristiano, di essere umano.

Bartali, in quanto sportivo, e per il suo impegno civile, è stato un eroe: come si dà voce a un eroe, che corde ha cercato di muovere, che timbro, che emotività? S’è confrontato con il suono della voce reale?

La voce reale di Bartali è uno di quei totem audio che soprattutto la mia generazione ha sempre avuto, prima ancora di accostarla al personaggio; il ‘…tutto è sbagliato, tutto è da rifare…’ è risuonato nella memoria della mia generazione, quindi è stato emotivamente meno complicato avvicinarmi a lui perché quando ci sono queste occasioni uno deve fare ricorso a tutta la sua professionalità; in questi casi io ascolto maniacalmente, come recentemente ho portato in scena Govi e praticamente l’ho clonato. La stessa cosa era per Bartali, anche se era riferito solo alla voce e non all’intera figura; sicuramente mi sono preparato e, in tutto questo, ripeto, ero un po’ aiutato dalla memoria di quando ero ragazzo, di quando c’era la sfida tra Coppi e Bartali, una meravigliosa storia di imprese.

Infatti, ho letto che lei, nel lavorare a questo film, si sia personalmente commosso… perché? Da cosa è stata scossa la sua emotività? Dalla vicenda, dall’idea di dar voce a Bartali, da cosa?

Intanto, la vicenda è molto bella, questa sorta di riconciliazione vorremmo prima o poi accadesse tra questi due popoli, è quello che tutti auspicano; e poi, sicuramente, il fatto che la vicenda di questa sorta di Oscar Schindler su due ruote la si sia scoperta dopo… tanto che è entrato nel Giardino dei Giusti: è qualcosa che mi ha messo a tappeto dal punto di vista emotivo, perché non credo ci sia nessun tipo di eroe oggi che sia così umile da non avvalersi di questo suo atto di eroismo e profondo coraggio. Questa commistione di eventi mi ha scatenato l’emozione più grande.

Per lei, dove risiede il senso della Memoria e qual è il valore nel tempo contemporaneo, soprattutto pensando a un pubblico come quello a cui parla il film, come quello di Giffoni in particolare?

Credo non si possa ipotizzare un futuro senza avere prima un salutare bagno nella Memoria, che costruisce il nostro DNA; oltretutto, nel caso specifico della Shoah, di quello che è capitato nella Seconda Guerra Mondiale con la persecuzione del popolo ebreo, è una Memoria che dovrebbe essere quasi obbligata; è diventato quasi un rituale, per molte scolaresche, essere portate in visita a Auschwitz, Buchenwald, e per fortuna, perché era cosa che invece non accadeva alla mia generazione. Tutto questo fa parte delle nostre Storie ma anche di essere cittadini del mondo, senza discriminazione razziale, sessuale, religiosa: la Memoria deve aiutare a creare i ragazzi del futuro anche con questi tasselli, che devono esistere in ognuno.

Viviamo una una società dove tutto è ‘marchio’, dove lo status viene affermato dal ‘simbolo’: nel tempo presente, per cercare solidità umana e sociale anche in prospettiva di futuro, cosa reputa debba essere simbolo di riferimento? Qualcosa di fisico, qualcosa di metaforico, di simbolico? Esiste, secondo lei, un esempio odierno paragonabile a quello che fu il simbolo della bicicletta di Bartali?

Per Bartali, il simbolo va ricondotto alla figura lui: se penso a lui non ho bisogno di nessun totem aggiuntivo, mi basta e avanza lui, che appartiene alla Memoria di cui parlavamo, lui è già simbolo, senza bisogno di crearne altri da affiancargli. Per l’oggi, nell’era della Rete, i simboli hanno spesso la durata di un passe du matin, vengono veramente voracizzati in un nano secondo. Credo sia fondamentale la nostra Storia. Non saprei indicare attualmente un unico simbolo: oggi si fa riferimento a personaggi meno impegnati socialmente, faccio l’esempio di Sinner, che polarizza l’attenzione dei giovani in quando campione meno coinvolto dalle prassi negative dello sport. Al di là di tutto questo, credo sia necessario rimanere un essere umano ancorato ai valori umani, senza per forza sentirsi un super uomo o, pensando addirittura a Nietzsche, pensando di essere qualcuno con una morale propria. La persona, al di fuori della sua impresa, deve mescolarsi tra la folla, questo credo sia il simbolo più sano da avere come riferimento.

Nel film si tratta anche il concetto di ‘proibito’, in particolare di un’amicizia proibita dalle distanze del credo religioso: il cinema, il teatro, l’arte in genere, hanno la forza di far cadere le barriere di questi limiti? 

Sicuramente lo sport è di per sé un veicolo privilegiato rispetto ad altri, ma credo altrettanto ci sia anche il desiderio di fare scelte coraggiose: senza presunzione, rispetto alla mia storia, tutto quello che ho perseguito l’ho fatto senza domandarmi mai perché tutti gli altri facessero in un modo altro; è stato così per le mie scelte personali, e al Trio è stato spesso detto ‘andate contromano in autostrada’; io credo che il coraggio di oggi sia quello di staccarsi dalla consuetudine, dalla scelta facile, dalla scelta a volte più lucrosa; l’importante è aver sempre presente che le scelte siano dettate da coraggio, talento e umanità: queste tre cose insieme fanno sì che si sia considerati dei marziani, degli emarginati fuori controllo, ma il coraggio delle scelte è alla base delle imprese meravigliose.

La bicicletta di Bartali non è la biografia di Bartali, ma l’esplosione di un concetto narrativo che prende spunto dalla verità esistenziale del ciclista: quella del film è la vicenda di un atleta ebreo, appassionato di ciclismo, che stringe amicizia con uno sportivo arabo, della squadra avversaria. Loro sono David e Idra sulla via ideale tracciata Bartali, che è stato più che un campione, un eroe: nonostante le rivalità – e non solo agonistiche – delle rispettiva squadre di appartenenza, fanno cadere i muri del pregiudizio contemporaneo. Ci sono amicizia e solidarietà, così come ci sono due linee temporali: Gino Bartali nella Firenze della Seconda Guerra Mondiale, impegnato nel complesso tentativo di salvare la vita di molti ebrei, e la storia di due adolescenti moderni, opposti dalla Storia, ma vicini nel senso dell’umanità e nella passione sportiva.

Nel tempo cinematografico dell’invasione dei super eroi, Gino Bartali lo era? Sì, senza nessun “probabilmente”, se a questa definizione togliamo il sensazionalismo dell’effetto speciale e affidiamo invece l’unicità della sapienza emotiva come super potere. La “Bartala”, la biciletta di Gino, quella con cui ha trasportato davvero documenti falsi per salvare centinaia di persone dalla barbarie nazifascista, con questa storia porta a Gerusalemme, sessant’anni dopo, e si fa simbolo.

Per La bicicletta di Bartali sono stati creati più di 1000 sfondi per ottenere un’ambientazione realistica e al tempo stesso accattivante, per personaggi animati con la tecnica 2D digitale.

L’autrice e interprete della canzone di chiusura è Noa, artista israeliana di fama internazionale da sempre impegnata nella promozione del dialogo e della Pace, che ha accolto la proposta di entrare nel progetto. Il brano di chiusura, scritto e arrangiato insieme a Gil Dor, è un inno allo sport come scuola di vita.

La produzione è interessata alla massima diffusione del film, anche per i non udenti per i quali sono disponibili i sottotitoli.

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