In Concorso alla Festa di Roma El olvido que seremos, firmato dal premio Oscar Fernando Trueba (Belle Époque), adattamento di uno dei romanzi più importanti della letteratura colombiana contemporanea, scritto da Héctor Abad Faciolince per raccontare l’intensa ed emozionante vera storia di suo padre, Héctor Abad Gómez, medico e attivista che ha dedicato la sua vita ad aiutare gli altri lavorando senza sosta per la sanità pubblica in Colombia, assassinato da una banda paramilitare a Medellìn. Un inno alla bellezza e alla bontà di un uomo rivolto al bene degli altri, padre devoto ed esempio per il suo modo di stare al mondo, straordinariamente interpretato dall’attore spagnolo Javier Cámara (The Young Pope, Parla con lei): “È un personaggio che mi ha cercato e mi ha creato anche grandi conflitti – sottolinea l’attore – Fernando Trueba mi aveva regalato il libro molto tempo prima di sapere che ne avrebbe fatto un film. La richiesta, poi, di interpretare il protagonista mi ha inizialmente messo in crisi: io non sono colombiano e ho dovuto molto lavorare sull’accento, avevo grandi responsabilità nel portare un personaggio come questo sullo schermo, era necessario conoscere e avvicinarsi con rispetto alla famiglia. C’era un insieme di molte responsabilità ma anche libertà, perché la storia vera è già stata raccontata, ed è nel libro. Ma interpretare questo ruolo è stato un sogno, un regalo stupendo”.
Anche il regista ammette di essere stato all’inizio un po’ timoroso e scettico all’idea di adattare un libro così intimo: “Ho comprato questo libro quando è stato pubblicato e mi ha emozionato al punto che l’ho regalato nel corso degli anni più volte, in Paesi diversi e in lingue diverse, alle persone a me più care. Non potevo immaginare di ricevere una proposta per farne un film. All’inizio credevo che quel libro non si potesse adattare: da ogni riga trapelava la verità del racconto molto intimo di un figlio. Come si poteva competere con qualcosa di così sincero, essenziale, delicato, doloroso e reale? Mi hanno chiesto, però, di tornare a leggere il libro e di valutarlo da una prospettiva di regia, ero titubante, ma mi sono lasciato convincere e ora sono contento di aver cambiato idea”.
Nei gesti di vita di Héctor Abad Gómez, un uomo che con semplicità diceva ‘Io sono solo un medico e per questo difendo la vita’, viene rappresentata la poesia e la bellezza disarmante della virtù, qualcosa che sembra così difficile da rendere interessante sul grande schermo, troppo spesso affascinato dalla violenza e dalla fotogenia del male: “Una volta parlando con Billy Wilder – racconta il regista – che considero un maestro, gli ho detto che nei suoi film c’è prostituzione, nel senso che c’è sempre qualcuno che si deve vendere. Lui mi ha risposto che la virtù non è fotogenica. In questo film ho voluto mostrare al maestro il contrario: è necessario smetterla di essere tanto attratti dalla cattiveria e dalla violenza, credo che questa fascinazione sia tremenda e pericolosa. Da bambino mia madre mi regalava di continuo libri sulle vite di santi, io li odiavo perché volevo libri di avventura. In realtà continuo ad odiare anche oggi i racconti moralizzanti, ma questo film è diverso perché questa è la bellezza di un essere umano coraggioso, che non si limita ad essere buono, ma ogni giorno si alza e combatte per far in modo che le persone intorno a lui abbiano i beni fondamentali. Bisogna rivendicare la presenza di personaggi così, soprattutto in periodi come questi”.
Grande il lavoro di ricerca fatto dal regista sulle foto e i materiali messi a disposizione dalla famiglia per meglio immergersi nella storia: “Le immagini parlano, dicono qualcosa e chiedono qualcosa. Mentre facevamo le ricerche ci siamo accorti che nel 95% delle fotografie lui aveva sempre questa risata fragorosa, era la gioia fatta persona, l’allegria portata sulla terra. Javier possiede questa stessa risata, questa gioia costante, che era ancora più importante della somiglianza fisica, che pure c’è tutta”.
Il film, ambientato nella Colombia devastata dalla violenza degli ultimi decenni, è stato selezionato anche dal Festival di Cannes nella selezione ufficiale e uscirà nelle sale italiane con Lucky Red. Nel cast Nicolás Reyes Cano, Juan Pablo Urrego e Patricia Tamayo nel ruolo della moglie del medico che, racconta il regista, un giorno si è trovata sul set, a sorpresa, di fronte alla vera moglie, oggi 95enne, arrivata proprio mentre si stava girando la scena in cui vede il marito vivo per l’ultima volta. “Sono successe cose strane sul set, la sua presenza non prevista ci ha fatto tremare letteralmente la terra sotto i piedi, ma è stato un regalo. Così come l’incontro fortuito per strada con un allievo del medico che, riconoscendo il figlio, ci ha raccontato che Héctor Abad Gómez diceva sempre che la cosa più importante per l’essere umano sono le cinque A: Aria, Acqua, Alimentazione, Affetto e qualcosa che ci Avvolga . Una frase che non era nel libro ma mi è sembrato un bel modo per descrivere l’essenza del personaggio, e perciò l’ho inserita nel film”.
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