“Esiste un antico proverbio che dice: ‘Cos’è più leggero di una piuma? La cenere. E più leggero della cenere? Il vento. E più leggero del vento? La donna”, parola di Giacomo Casanova, del Casanova che Donald Sutherland ha interpretato per Federico Fellini: Il Casanova di Federico Fellini (1976).
Tre secoli si festeggiano dalla nascita di Giacomo Girolamo Casanova: era il 2 aprile 1725 quando lo scrittore, l’avventuriero, l’alchimista, il poeta, il massone, il diplomatico, lo scienziato, il filosofo e…, per i più, il seduttore veneziano veniva al mondo, diventando nel tempo anche un “sostantivo” – essere “un Casanova” -, vocabolo con cui si racconta un raffinato rubacuori, un sofisticato sciupafemmine.
Il cinema ha immaginato e prodotto racconti con sfaccettate prospettive sulla vita e le avventure di Casanova, portando in superficie la sua complessità: le rappresentazioni cinematografiche oscillano tra mito e decostruzione, leggerezza e introspezione. Se Fellini lo trasforma in una figura tragica e disumanizzata, Salvatores e Sturminger lo restituiscono con un senso di malinconia e riflessione. Hallström e Steno, invece, ne fanno un’icona romantica o avventurosa, mentre Battiato lo racconta con lo sguardo di una curata fiction storica. Ogni regista ha dato una propria versione del libertino veneziano, dimostrando come il mito continui a essere una tela su cui il cinema può dipingere infinite sfumature.
Per Federico Fellini, Casanova è un seduttore disumanizzato. Con Il Casanova di Federico Fellini (1976) si trasforma la figura del soggetto in un anti-eroe grottesco, prigioniero della sua stessa leggenda. Donald Sutherland, che lo interpreta, si restituisce sorprendete mentre si muove in una Venezia irreale, fatta di scenografie teatrali e atmosfere oniriche. Il regista decostruisce il mito del seduttore, riducendolo a un meccanismo vuoto, incapace di vero desiderio. La scenografia artificiale e la colonna sonora straniante di Nino Rota amplificano l’alienazione di un uomo condannato a esibirsi per un pubblico invisibile. Quella di Fellini è una visione personale, onirici e ipnotica, ma anche impietosa, che riflette sull’inconsistenza della fama e sulla sterilità della libertà assoluta. Fellini stravolge il mito trasformandolo in un burattino a perdere, intrappolato in una vita di seduzioni assenti di passione: enfatizza la dimensione sognante e artificiale, privando il protagonista di qualsiasi autentico desiderio e rendendolo simbolo di una decadenza sterile. Donald Sutherland riesce a portare sul grande schermo un Casanova alienato, offrendo un’interpretazione straniante e meccanica appunto, perfettamente in linea con la visione di Fellini. Il suo Casanova è freddo, distante, quasi un automa che esegue rituali di seduzione senza emozione: l’uso del trucco pesante e la recitazione distaccata trasformano il personaggio in una maschera tragica, un uomo prigioniero della propria leggenda.
Se quello di Fellini è il Casanova cinematografico più popolare e considerato Il Casanova della Settima Arte, prima di lui c’è stato quello di Steno, che ha affidato il ruolo a Gabriele Ferzetti: Le avventure di Giacomo Casanova (1955) racconta le peripezie amorose dell’uomo. Quello di Steno è un Casanova scanzonato del Dopoguerra: nel clima leggero della Commedia Italiana Anni ’50 dirige un film che trasforma il veneziano in un profilo spensierato, a metà tra l’eroe romantico e l’uomo d’azione. Ferzetti incarna un Casanova più vicino allo stereotipo del rubacuori che al libertino filosofico del ‘700. Ferzetti è un Casanova affascinante, elegante e spigliato, perfettamente a suo agio in quei panni avventurosi; con un carisma naturale e una gestualità raffinata, l’attore dona al personaggio leggerezza e fascino senza scivolare nell’eccesso, costruendo un seduttore più giocoso che tormentato. La regia di Steno è vivace, infila situazioni rocambolesche e un’ironia che evoca i “cappa e spada” dell’epoca. Se manca la profondità storica e psicologica, il film compensa con un intrattenimento elegante e una fotografia che valorizza gli ambienti veneziani.
Non solo cinema italiano per Casanova, profilo senza nemmeno confini geografici: se Heath Ledger ha incarnato il ruolo per Lasse Hallström, esplorando le sue avventure romantiche nella Venezia del XVIII secolo in un film che porta il “nome” come titolo, Casanova (2005), è John Malkovich il protagonista di Casanova Variations (2014) di Michael Sturminger, autore di un racconto che combina opera e dramma.
Hallström rilegge la figura di Casanova scegliendo le lenti della commedia romantica hollywoodiana, con un Heath Ledger affascinante ma edulcorato. Il film, pur offrendo una Venezia sontuosamente fotografata, si prende molte libertà storiche per costruire una trama più accessibile, incentrata su un amore impossibile e su equivoci dal sapore teatrale. L’intento è chiaro: trasformare Casanova da libertino cinico a protagonista di una fiaba moderna. Il risultato è un film esteticamente impeccabile, ma privo dell’ambiguità e della profondità che il personaggio storico richiederebbe. L’ironia e la leggerezza funzionano, ma la storia su grande schermo finisce per semplificare eccessivamente una delle figure più complesse del XVIII secolo. Hallström riduce Casanova a un protagonista lieve e edulcorato, trasformandolo in un uomo disposto a rinunciare alle sue scorribande amorose per un amore sincero: il regista semplifica il personaggio storico, enfatizzando più la sua irresistibile attrazione che la sua complessità intellettuale, con Ledger interprete di un Casanova più zuccherino che libertino, che enfatizza il lato ironico e scanzonato del personaggio, con una recitazione brillante e dinamica, ma carente della profondità filosofica del vero Casanova. L’attore porta un’energia giovanile e un’innocenza che rendono il protagonista più simile a un eroe di commedia che a un libertino cinico.
Michael Sturminger porta sullo schermo un Casanova inedito, intellettuale, nella mimica di John Malkovich carico di un’intensità che oscilla tra ironia e disillusione. Il film è un esperimento audace che mescola cinema, teatro e opera, riprendendo le memorie di Casanova e intrecciandole con le composizioni di Mozart. Malkovich interpreta un Casanova sofisticato e riflessivo, più vicino a un filosofo che a un seduttore grazie al suo stile raffinato e a un tono di voce ipnotico che dona un’intensità teatrale, sposa perfetta della struttura meta-narrativa del film. Questo Casanova è più consapevole, quasi disincantato, un uomo che s’interroga sulla propria eredità. Il risultato è un film sofisticato e a tratti criptico, che riflette sulla finzione, sulla rappresentazione e sul desiderio. La struttura metanarrativa e l’uso dell’opera lirica rendono il film più vicino a un’esplorazione filosofica che a una narrazione classica: è un racconto affascinante e esigente, che sfida le aspettative dello spettatore. Sturminger, dunque, offre una versione filosofica e meta-teatrale di Casanova, in cui il protagonista è più riflessivo che seduttore, un uomo che riconsidera la sua vita tra realtà e finzione, in un film che fonde cinema, opera e memoria.
Dal grande al piccolo schermo, un Casanova decisamente impresso nella memoria pop del pubblico italiano è quello di Stefano Accorsi per Giacomo Battiato: Il giovane Casanova (2002) esplora gli anni giovanili del protagonista. Battiato costruisce un film televisivo, aggettivo non diminutivo, che mira a esplorare gli anni formativi di Giacomo, con una regia che privilegia l’estetica elegante e la fluidità narrativa, seguendo Casanova nelle sue prime esperienze sentimentali e avventurose. Pur mancando di una sofisticata complessità psicologica, il racconto riesce a rendere il fascino e la vivacità dell’epoca, inserendo elementi di intrattenimento ma senza scadere nella superficialità. Quella di Battiato è la biografia di un seduttore in formazione, ancora lontano dalla fama di libertino, che Accorsi – in quel momento della sua carriera esso stesso “in divenire” – interpreta come uomo impulsivo, lontano dall’icona affermata, portando sullo schermo una recitazione fresca e vivace, accentuando l’irruenza e la curiosità più che la maestria nella seduzione, riuscendo a rendere credibile la trasformazione di un ragazzo ambizioso in un uomo destinato a diventare leggenda.
Dulcis in fundo, per tempi cronologici, l’ultimo Casanova del cinema italiano è quello che Gabriele Salvatores ha chiesto di interpretare a Fabrizio Bentivoglio: Il ritorno di Casanova (2023) è la storia del ritorno a Venezia dell’uomo in età senile. Salvatores firma un racconto crepuscolare, che affronta il mito in chiave malinconica e introspettiva, con Bentivoglio che si offre come un Casanova che porta addosso il tempo trascorso, consapevole del declino del fascino e dell’inevitabile solitudine. Salvatores si muove tra passato e presente, tra bianco&nero e colore, costruendo una riflessione sulla vecchiaia e sulla paura dell’oblio, con una fotografia sofisticata e un ritmo contemplativo che riescono a donare alla figura di Casanova una dimensione lontana dagli stereotipi. Il ritorno di Casanova, film maturo e raffinato, dialoga con il tempo e con la memoria e Fabrizio Bentivoglio restituisce una performance intensa e malinconica, incarnando il declino che lotta con il tempo e con la propria identità. La recitazione è sottile e misurata, con sguardi e silenzi che portano il peso della vecchiaia e della paura. Il Casanova di Bentivoglio è un uomo dalla dimensione umana e vulnerabile.
Casanova – di sé, nella sua autobiografia Histoire de ma vie (Storia della mia vita) – si racconta come “un uomo libero, la cui unica legge è la sua volontà e il cui unico dovere è il piacere”. Questa frase sintetizza perfettamente la sua filosofia di vita: un’esistenza dedicata all’avventura, al desiderio, alla conoscenza e alla libertà. Non solo seduttore, ma anche scrittore, filosofo, diplomatico e viaggiatore, Casanova rappresenta l’incarnazione dell’illuminista che vive senza rimpianti, seguendo il piacere e il sapere come bussole del proprio destino.
Sebbene all'uscita, il 27 marzo 1975, la critica non ne riconoscesse subito il valore, oggi il film con Paolo Villaggio rappresenta una pietra miliare indiscussa del cinema italiano
Il 7 marzo 1975 usciva nelle sale italiane un film destinato a diventare un pilastro del cinema horror e un punto di riferimento per intere generazioni di registi e appassionati
Per celebrare i 50 anni di uno dei classici del genere thriller, Cat People lo porterà nei cinema a partire da marzo
Il quattordicesimo film del maestro ferrarese, interpretato anche da Maria Schneider nel ruolo che prima fu offerto alla cantante italiana, compie mezzo secolo dall’uscita nelle sale, il 28 febbraio 1975