Fosse un film hollywoodiano sarebbe un thriller con qualche morto ammazzato, Il venditore di medicine di Antonio Morabito, documentarista e cortista alla sua opera prima. Ma l’autore ha scelto la strada del dramma e della denuncia. Al centro della vicenda, che arriva come un pugno allo stomaco, un personaggio stritolato da un ingranaggio perverso: Bruno Donati (Claudio Santamaria) è il piazzista di una casa farmaceutica, la Zafer (il nome è un omaggio a Elio Petri e al suo Todo modo). Rampante e iperstressato, è l’ultimo anello di una catena fatta di corruzione, comparaggio e truffa ai danni dei malati. Tutto pur di battere la concorrenza. Così lo sprona l’isterica capoarea (Isabella Ferrari). Medici per lo più complici, salvo qualche rara eccezione, accettano regali di ogni tipo, dall’iPad alla vacanza pagata in qualche congresso, per prescrivere farmaci che a volte sono superflui e in qualche caso persino dannosi. E i dottori compiacenti vengono classificati in base alla corruttibilità e al prezzo: regine, squali, penne, ganasce d’oro…
Agghiacciante ma tutto vero. Anche se ha suscitato proteste nel settore, Il venditore di medicine si basa su testimonianze raccolte sul campo dall’autore. “Mio padre era gravemente malato e cercando un farmaco per lui ho iniziato a conoscere la realtà delle multinazionali. Unendo i vari tasselli e attraverso le testimonianze di alcuni venditori sono arrivato a vedere le cose che racconto nel film”, dice il regista. Che ha fatto avere una copia al ministro della Salute Beatrice Lorenzin: “Spero che lo veda e ci dica cosa pensa di chi specula sulla salute degli italiani”.
“Di questi illeciti si parla poco perché le case farmaceutiche fanno molta pubblicità sui giornali e in tv”, interviene Marco Travaglio, che ha il ruolo di un potente e apparentemente incorruttibile primario di oncologia che rivelerà anch’egli il suo punto debole. “Si cerca di non spaventare troppo la gente perché quella dei medicinali è una questione di vita e di morte – prosegue il giornalista – ma è vero che le persone vengono usate come cavie, che il paziente sano viene medicalizzato per aumentare il fatturato, con la complicità di medici senza scrupoli. Dunque il film rompe un tabù”. Entrato nel progetto quasi per caso, una sera che il produttore Amedeo Pagani andò a teatro a vedere il suo spettacolo con Isabella Ferrari, Travaglio era all’inizio scettico all’idea di recitare. “Pensavo che avrebbero preso un attore, ma se la mia presenza può servire a far parlare del film, ben venga. Questa è un’opera poco rassicurante, perché fa capire che c’entrano tutti, nessuno escluso, e mostra anche le aberrazioni della crisi: dai capi fino all’ultima ruota del carro diventano tutti dei mostri. E purtroppo non c’è nessun fatto raccontato da questo film che non avvenga davvero. Ci sono persino i bambini imbottiti di ormoni della crescita senza alcun bisogno”.
Era dai tempi de Il medico della mutua con Alberto Sordi che il cinema non entrava nel campo minato della sanità corrotta, a cui richiamano i tanti fatti di cronaca citati nei titoli di testa. Si va dagli sprechi alle vite umane spezzate: 2.000 morti in Francia per un antianoressico spacciato per antidiabetico. Racconta Amedeo Pagani: “La Bnl era disposta inizialmente a darci un tax credit esterno, ma poi hanno preferito non mettersi contro le case farmaceutiche”. Aggiunge Claudio Santamaria: “Non è stato facile trovare finanziamenti per un film così duro, che non racconta la corruzione dei piani alti, ma il punto di vista dell’ultimo ingranaggio. Per me è anche la storia di una classe di lavoratori che inseguono, senza porsi troppe domande, un sogno vuoto, ma nel far questo il mio personaggio distrugge tutto quello che di bello ha intorno, rovinando anche il rapporto con sua moglie”.
Interviene Giorgio Gobbi, che nel film è uno dei medici dalla ricetta facile. “Ho il ruolo del dottore bonario, il medico di famiglia che con un’aria gentile a volte ci fa prendere farmaci che non servono a nulla. Quella farmaceutica è la quarta industria mondiale per giro d’affari e gli scandali sono all’ordine del giorno, da poco abbiamo letto che due industrie avevano fatto cartello per far adottare il medicinale più costoso”.
Ovviamente non sono mancati i problemi. “Durante la lavorazione – racconta il regista – abbiamo ricevuto email di protesta di medici e informatori scientifici, mentre il direttore sanitario dell’ospedale dove dovevamo girare ci ha ritirato la disponibilità e altri tre medici legati a quella struttura si sono tirati indietro. Quando abbiamo presentato il film al Festival di Roma (Leggi anche la nostra corrispondenza dal Festival di Roma) c’è stata la protesta in rete e una presa di distanza della Federazione nazionale dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri FNOMCEO, perché mettiamo in cattiva luce il rapporto col paziente”. E neanche la Svizzera, paese coproduttore, è esente da casi di comparaggio. “Un parlamentare svizzero a capo della Commissione del farmaco, dopo aver visto il film, ci ha detto che lui subisce pressioni quotidiane dall’industria”.
Per Isabella Ferrari, fedele all’omeopatia nella vita, Il venditore di medicine parla anche di alienazione del lavoro. “Racconta la nostra società e affronta il tema della corruzione in maniera non edulcorata. In America ci avrebbe fatto un film George Clooney, in Italia siamo abituati alle commedie, ma stavolta non c’è niente da ridere”.
Il venditore di medicine, miglior soggetto al Festival di Bari, sarà in sala in 50 copie dal 29 aprile con Luce Cinecittà.
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