Tra dopoguerra e boom economico i gangster anarchici e ribelli di De Maria

La banda Cavallero, Ezio Barbieri, Paolo Casaroli, Luciano De Maria,Horst Fantazzini, Luciano Lutring, sono i protagonisti di Italian Gangsters (Orizzonti) distribuito e prodotto da Luce Cinecittà


VENEZIA. La banda  Cavallero, Ezio Barbieri, il ‘Robin Hood’ del quartiere Isola, Paolo Casaroli, ‘il Dillinger bolognese’, Luciano De Maria, Horst Fantazzini, ‘il bandito gentile’, Luciano Lutring ‘il solista del mitra’, sono i protagonisti di Italian Gangsters di Renato De Maria, in concorso a Orizzonti, prodotto da Luce Cinecittà, che lo distribuisce anche, in associazione con Minerva Pictures.
Va in scena una stagione della malavita ormai lontana anni luce da quella che vedremo prossimamente in Suburra. Una malavita le cui imprese s’intrecciano con lo sforzo immane di un paese che esce dalle macerie della guerra, rinasce e conosce il boom economico. La parabola di questi banditi, diventati leggenda nell’immaginario popolare con le loro sfide temerarie ma anche sanguinose al sistema, accompagna le trasformazioni sociali.

Il racconto, intenso e in presa diretta, di queste biografie così particolari – dalla prima rapina all’arresto, dal carcere al rientro nella società civile – è affidato a monologhi, interpretati da attori teatrali, basati su libri autobiografici, interviste e testimonianze raccolte da famosi giornalisti.
A commento visivo delle loro gesta, i filmati d’epoca, le immagini di quegli anni dell’Archivio Luce e Home Movies, delleTeche Rai. E ancora brani di film di genere, circa una trentina, soprattutto poliziotteschi, grazie alla library di Rarovideo .

Come nasce questo film?
Dall’incontro con Roberto Cicutto  che mi ha chiesto di realizzare un lavoro con i materiali dell’Archivio Luce, partendo da un punto di vista originale. Così ho proposto una storia di questi gangster dal dopoguerra, dagli anni della ricostruzione al boom economico, attraverso le loro biografie. Erano allora figure molto popolari di cui si occupavano giornalisti come Montanelli, Biagi, Bocca, Buzzati. Raccontare questo elemento pop della loro fama, poteva essere anche la ricostruzione di un pezzo di storia italiana ma anche di immaginario collettivo.

C’è stato altro nell’accettare questa sfida artistica?
Il mio interesse, fin dall’adolescenza, per il genere crime e hard boiled, nonché la passione per i B-movies italiani. E poi perché alcune di quelle storie all’epoca mi avevano affascinato, anche grazie ai film di Carlo Lizzani Svegliati e uccidi e Banditi a Milano, e quello di Florestano Vancini La banda Casaroli.

Il suo film non restituisce solo delle biografie criminali?
E’ uno spunto per raccontare un’Italia irripetibile che veniva fuori dalla tragedia della guerra, caratterizzata da una grande crescita, da una struttura sociale più compatta, da un’identità nazionale più forte. Insomma un‘Italia che aveva speranza.

Nella scelta dei banditi, ne ha perso qualcuno per strada?
Il periodo scelto va dagli anni ’40 ai ’60, avevamo previsto di inserire anche Renato Vallanzasca, cresciuto nel mito di Lutring, ma rappresenta già un altro tipo di malavita collegata all’occupazione del territorio, a bande più strutturate e poi incrocia l’inizio del terrorismo. Abbiamo anche provato a inserire dei banditi romani come Lallo lo zoppo della banda dei Testaccini, quelli che sono stati spazzati via dalla banda della Magliana. Il suo monologo era molto bello, ma estremamente ferrato, non in sintonia con il tono del racconto di questi sei gangster.

Dunque tutto accade al Nord, tra Milano, Bologna e Torino.
Al Centro e al Sud c’erano la mafia e bande che controllavano già il territorio, mentre al Nord quasi tutti i sei protagonisti sono figli della Resistenza, spesso le loro armi sono quelle non restituite dai partigiani. Si tratta di giovani che non sono riusciti a rientrare nella vita normale alla fine della guerra.

Che cosa li accomuna?
Una sorta di individualismo anarchico, di ribellione nei confronti di una società che chiede loro di lavorare con una paga bassa. Si ribellano per un anno di vita alla grande, ma non per un progetto.

Ha una preferenza per uno dei sei banditi?
Ognuno ha il suo punto di fascino. La storia particolare di Cavallero con il suo sogno di comunismo, legato però anche a questo suo ego incredibile, un figlio di proletari che dovrebbe diventare operaio e invece si sente “un drago”. Lutring romanticissimo, ovviamente sono attratto dal fascino letterario del racconto, perché non dimentichiamo che questi uomini hanno ucciso. E poi Casaroli di cui mi ha parlato un amico scrittore che lo andava a trovare nella sua libreria, aperta una volta uscito dal carcere. O Barbieri che rubava e poi andava a distribuire la refurtiva nel suo quartiere.

Oggi la criminalità è molto differente.
Il mio film segnala questa diversità, perché la malavita odierna nasce negli anni ’80 dalla commistione con la politica. Soprattutto è conquista del territorio, dominio della città, intesa come affari su tutto, con il permesso e la connivenza dello Stato.

Quanto materiale ha visionato?
E’ stato un lavoro molto lungo, non tanto con gli attori con i quali ho girato in pochi giorni. Per costruire i monologhi, insieme a due giovani appena usciti dal Centro sperimentale, abbiamo letto libri, articoli, interviste. Abbiamo visionato molto materiale già digitalizzato dell’Archivio Luce, delle Teche Rai, e dell’Archivio Home Movies di Bologna che raccoglie super 8 familiari, documenti intimi e privati. E infine fondamentale la ricca library di Minerva Pictures, Rarovideo, in particolare alcuni film di Di Leo, Deodato, Bava, ma anche di Petri, Antonioni, Bellocchio e Sautet.

Ha scelto tutti attori di teatro per i sei personaggi.
Mi sono affidato a interpreti non cinematografici sconosciuti perché volevo dei lunghi flussi di coscienza. All’inizio ho pensato ad attori che conoscevo, poi abbiamo preferito uno stacco netto, perché la faccia sconosciuta ti consente un’identificazione più forte. L’impostazione dei monologhi è teatrale e li ho girati nel buio di un immenso teatro scelto perché volevo questa profondità da cui emergevano, come da un passato molto lontano. Abbiamo estratto dai libri questa loro lingua spontanea, per quanto filtrata dagli scrittori, quel loro atteggiamento un po’ spavaldo e arrogante. Monologhi di 9/10 pagine tutti girati senza interruzioni con piani sequenza larghi, poi medi, poi stretti.

C’è un legame con le sue precedenti opere, come La prima linea?
Il filo conduttore c’è anche con Paz! e La vita oscena perché è evidente che sono interessato a quella linea d’ombra, cioè al passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Sono attratto da quelle persone che non riescono a diventare adulte  e questo passaggio lo rendano narrazione, tragica alcune volte come in La prima linea o fumettistica come in Paz!. Anche il mio primo film Hotel paura racconta di una persona licenziata che non riesce più a rientrare nel mondo del lavoro e diventa barbone. C’è sempre dunque questo confronto tra l’individuo e la società.

Progetti futuri?
Un gangster movie la cui sceneggiatura è quasi terminata, legato a questo lavoro e ispirato a un bandito reale, con ambientazione negli anni ’80 ma contemporanei. Sarà il racconto della sua conquista del territorio a Milano. Per la televisione riprendo a lavorare con il produttore Pietro Valsecchi che mi ha chiesto di collaborare con un altro regista a Squadra Antimafia 8 con un cast rinnovato.

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