TAORMINA – Una conversazione immaginaria tra Totò Riina e uno psicoterapeuta che prova a “rieducarlo”. Tra i progetti più originali e sperimentali presentati al 70° Taormina Film Festival c’è sicuramente La rieducazione, il nuovo film di Aurelio Grimaldi che prova a entrare nella mente del boss mafioso più celebre e crudele grazie al talento di un attore come Tony Sperandeo, uno dei volti più riconoscibili del cinema siciliano.
Grimaldi ha immaginato cosa sarebbe successo se al “capo dei capi” fosse stato concesso di parlare con un professore di psicopedagogia. Un esperto che avrebbe provato a rieducare la persona più pericolosa e con più crimini pendenti della storia del nostro sistema penitenziario. Di cosa avrebbero discusso? Quali leve avrebbe usato il professionista per entrare nell’animo oscuro di Riina? Forse le musiche di Bach? La spiritualità? La costituzione?
Ne La rieducazione, vediamo in scena lo stesso Grimaldi conversare con Sperandeo, che immerso al 100% nei panni di Riina, risponde nel modo in cui presumibilmente avrebbe fatto il boss. Dopo oltre 10 ore di riprese, il regista ha tirato fuori un film di poco più di un’ora, che viene presentato a noi come se fosse una sorta di mockumentary, in cui la realtà si fonde alla finzione. Un esperimento interessantissimo che ci mette di fronte ai limiti della mostra moralità e alle contraddizioni del nostro sistema giudiziario.
Abbiamo incontrato Tony Sperandeo poco prima dell’anteprima ufficiale del film. Accompagnato dal figlio Tony (“il vero Tony Sperandeo, dato che io mi chiamo Gaetano”, così ce lo presenta) e da un simpatico barboncino, l’attore esprime entusiasmo per un film anche per lui tutto da scoprire. “Sono l’unico che non lo ha ancora visto. – rivela – Sono molto curioso, perché ho detto tante di quelle minchiate che neanche mi ricordo. Ora ho il desiderio di vederlo”.
Come è stata l’esperienza non di interpretare, ma di “diventare” Totò Riina?
Sono rimasto sconvolto quando il regista mi ha detto che non mi avrebbe dato sceneggiatura. Siamo amici, quindi ci vedevamo a Roma, mangiavamo assieme e parlavamo. Semplicemente questo. Lui avrebbe sempre voluto intervistare Riina, ma non gli hanno dato il permesso e poi è morto. Si è incarognito e ha fatto fare a me Totò Riina. Non mi aspettavo che dopo quelle chiacchiere mi avrebbe detto semplicemente: fai! Questa cosa credo abbia stranito anche il direttore Marco Müller.
Non veniva in nessun modo preparato su quella che sarebbe stata la scena da girare?
Mi sono molto documentato, ma in scena era tutto improvvisato. Abbiamo girato tante ore e qualcosa ovviamente è stato tolto. Addirittura a un certo punto io dico che sono convinto che ci sia una cimice che ci spia e Aurelio ha avuto l’idea di inserirla in sceneggiatura. Essendo lui stesso in scena, c’è un doppio gioco, una specie di gioco delle parti.
È molto interessante come il film riesca a sottolineare come anche il più efferato criminale possa subire delle ingiustizie. Diventare vittima, sotto certi punti di vista.
Riina resta uno che ha fatto quello che ha fatto. In Italia la pena di morte non c’è, perché la vita la può togliere solo Dio. Ma a dire il vero l’ergastolo è anche peggio della pena di morte, perché una volta che ti uccidono almeno finisce lì.
Ieri sera, al Teatro Antico è stato detto che se lei fosse nato in America avrebbe già vinto un Oscar. Che ne pensa?
Questo lo scrisse un giornalista tanti anni fa, andai pure a Milano per ringraziarlo. Ci ha azzeccato. Non ho vinto l’Oscar, ma dopo qualche anno ho vinto l’Oscar italiano, i David, per I cento passi. Sono contento, ma devo dire che, anche per questo, non ho mai fatto una puntata di Montalbano, nemmeno una di Makari. Fanno i film in Sicilia e non mi chiamano.
Perché è troppo popolare. Attirerebbe troppo l’attenzione.
Esatto, me lo disse anche il vecchio direttore di Rai 2. Però io voglio lavorare!
Per fortuna per lei il lavoro non manca mai. A proposito, quali sono i suoi progetti futuri?
Prima di chiudere il mio percorso vorrei fare una regia. Sto scrivendo due storie: una racconta il tramonto della mafia. Dopo tanti film di mafia, vorrei fare un progetto con tanti ragazzi a patto che non si citi mai la parola “mafia”. In Sicilia ci sono tante altre cose. Io li educo affinché la cinematografia siciliana e palermitana possa avere un altro fronte.
E il secondo film?
Sto sviluppando la storia di un incontro con la morte, la quale va da uno scrittore siciliano e dice: ti vengo a prendere domani. Poi ci ripensa e dice: vengo tra tre giorni. Lui è talmente preso da questa cosa che cade in depressione. Il figlio, che è un grande attore, andrà a recitare il monologo scritto dal padre e la morte si prenderà il figlio e non il padre.
Una storia autobiografica. La sta scrivendo per suo figlio Tony?
Dopo la disgrazia di mia moglie ha smesso di recitare, ora a 34 anni vuole ripercorrere questa strada. Quindi lo porto ovunque, anche perché ‘a semenza’ c’è. È poi è la mia bella copia.
Tra l’altro uno dei temi fondamentali de La rieducazione è proprio la paternità.
Sì, c’è questa scena in cui Riina va a parlare con il Signore. Sa quello che è e di non avere scampo, ma ha due figli. Di uno hanno buttato la chiave, mentre il più piccolo può salvarsi non percorrendo la sua strada. Infatti dopo otto anni di prigione è uscito, anche se a Corleone non lo vogliono. È bello come un carnefice pensi al figlio per provare a salvarlo.
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