Alla vigilia del Festival di Torino, Tonino De Bernardi era a Sulmona Cinema sia come autore di Lei, film del 2002 inserito nel programma del festival, sia come regista all’opera. Infatti, nel corso della settimana, De Bernardi ha girato nella cittadina abruzzese una delle sue Latitudini, la settima in ordine temporale, mostrandone anche un estratto nella serata finale. De Bernardi è un “rilevatore di esistenze” e non può fare a meno di accendere la sua videocamera per dare spazio agli “assenti”, a coloro che nella civiltà delle immagini sono tenuti fuori campo.
Tra pochi giorni, al Torino Film Festival De Bernardi presenterà anche il nuovo film Serva e padrona, ispirato al testo di Genet Le serve. E all’orizzonte si profila un nuovo progetto, Crimini d’amore, con protagonista Isabelle Huppert.
Come mai “Serva e padrona”?
Lo considero un miracolo perché è un film nato in modo improvviso. Stavo lavorando al progetto Latitudini spostandomi da un luogo all’altro – Salento, Venezia e Sulmona le ultime in ordine temporale, San Paolo, Torino, Bangkok e Roma le prime che vedremo pure a Torino – con l’intento di mostrare lo sfruttamento dell’uomo in ogni angolo del mondo. Durante la Mostra del cinema di Venezia ho maturato l’idea di un film sullo stesso tema dal testo di Genet, Le serve, senza peraltro seguirlo in modo filologico ma cercando di mantenerne intatto lo spirito”.
Chi sono le protagoniste di “Serva e padrona”?
Eugenia Capezzoni, una bellissima attrice argentina che volevo coinvolgere in Latitudini a Venezia, Rossella Dassu e Sabrina Venezia. A questo terzetto si è aggiunta Veronique Bouteille, una brava cantante e attrice francese che insieme alla Dassu compare anche in Latitudini. E’ da queste quattro donne che sono partito per realizzare Serva e padrona, riscrivendo il testo di Genet. Quattro attrici dalla solida formazione teatrale, decisiva per il mio modo di fare cinema.
Anche in “Lei”, rivisto qui a Sulmona, protagoniste sono le donne. Come mai questa attenzione al femminile?
Forse, da un punto di vista psicoanalitico, si nasconde l’esigenza di esprimere il mio lato femminile. Probabilmente, incide anche il fatto di aver vissuto in una famiglia dove erano presenti molte donne. E poi le donne parlano molto più di sè di quanto facciano gli uomini.
Non credi che la tua videocamera eserciti un fascino irresistibile sui personaggi che incontri per strada e che poi riprendi?
Accetto fatalmente chi capitando davanti alla mia videocamera senta la sua presenza. Nel cinema più classico si tende a nascondere l’esistenza della macchina da presa. Io non faccio niente per nasconderla, anzi preferisco metterla in evidenza. Mi sembra fuorviante creare dei set artificiali o far finta che tutto sia frutto della spontaneità.
Nei tuoi lavori sembra imprescindibile l’uso del digitale.
Il digitale viene incontro alla mia smania di narrare e di occuparmi di chi mi sta intorno. E poi costa poco, mi permette di lavorare con una troupe snella. Soprattutto amo girare senza cavalletto, seguire gli attori quasi aderendo ai loro corpi, creare il set con i movimenti di macchina.
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