CANNES – Emoziona, sorprende e porta a casa applausi – almeno dalla stampa – The Homesman, l’opera seconda di Tommy Lee Jones, che già aveva vinto al Palma d’oro per miglior attore e miglior sceneggiatura per Le tre sepolture. Siamo in ambito western, ma con un canovaccio atipico, rinforzato da personaggi molto ben scritti e da un colpo di scena particolarmente shockante a metà film.
L’attore e regista interpreta un furfante che viene salvato dall’impiccagione da una pioniera zitella, rude e autoritaria (Hilary Swank, tanto forte e mascolina su schermo quanto sorprendentemente morbida e affascinante in conferenza stampa). In cambio, la signora gli chiede di aiutarla a compiere la propria missione: scortare presso una struttura specializzata tre donne gravemente malate di mente. Il viaggio è lungo e pericoloso, tra rigide settimane d’inverno e aggressive tribù di indiani, ma diventerà per l’uomo motivo di crescita e redenzione. Nel cast anche Miranda Otto e, in un cameo, Meryl Streep.
“Se scrivi e dirigi tutto diviene più facile – dice Jones che ha tratto la pellicola dal romanzo di Glendon Swarthout del 1988 – Ho fatto tutto quel che volevo e in questo caso, come attore, mi veniva particolarmente facile attenermi al volere del regista. Hilary l’ho scelta immediatamente. Era perfetta fisicamente e psicologicamente e anche per una questione etnica. Viene dal Nebraska e non ha paura di muli e cavalli. E’ una storia di pionieri che in qualche modo ci spiega com’erano gli Stati Uniti prima di diventare gli Stati Uniti. Ho letto molti libri e uno in particolare spiegava come venivano trattate le patologie mentali nel 19mo secolo. Diceva che per curare una donna dalla schizofrenia bisognava immergerla in acqua ghiacciata. Ho studiato i dettagli, come venivano costruite le case, che erano ben poco accoglienti”.
Tra i produttori c’è nientemeno che Luc Besson, che conferma: “E’ in qualche modo uno scenario esotico. Racconta una parte del West che in realtà non conosciamo. Conosciamo il sogno americano, ma non quello che succedeva prima che questo nascesse. Gli inverni così duri, ad esempio, al cinema si vedono raramente”. “Fronteggiare il clima è stato particolarmente complicato – afferma Hilary Swank – più che montare a cavallo. Ma in qualche modo serviva a calarsi nel personaggio. Pensiamo che a quei tempi si arrivava a fine giornata infreddoliti e con la sabbia in bocca e tra i capelli. Succedeva anche a noi, però dopo almeno ci aspettava un bagno caldo”.
Swank è conosciuta per il suo look androgino e spigoloso, ma oggi in conferenza appare più bella, raggiante e femminile che mai: “Beh, la bellezza è sempre un concetto relativo – commenta l’attrice – trovo che il mio personaggio rappresenti un’ideale di bellezza. E’ una donna vera, forte, ma anche sola e molto sensibile. Assorbe tutti i disagi delle donne malate che porta con sé. Quanto può durare una persona? Quanto può resistere? Erano tempi veramente difficili da attraversare e lei riflette tutto questo”.
“Non era facile per una donna sola – conclude Jones – ma il senso del film è proprio questo, focalizzare anche sulla condizione femminile. Le donne non dovrebbero mai sentirsi come oggetti. Ho cercato un modo originale di raccontarlo e ho preso il mio cammino”.
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