Hanno circa 45 anni. Molti vivono ancora al Tiburtino III°, alcuni hanno conosciuto droga, carcere e marginalità. Amedeo è diventato un militante politico e animatore della storica Radio Città Aperta, Massimo è responsabile alla comunicazione del V° Municipio di Roma, Stefano fa il ragionerie (in nero) in uno studio dei Parioli, Sergio, eroinomane, vive di espedienti.
Sono i protagonisti del documentario I malestanti 30 anni dopo ovvero i ragazzi di Diario di un maestro, straordinario esperimento di didattica alternativa filmato da Vittorio De Seta nel 1972. Marco Venditti, Claudio di Mambro e Luca Mandrile della Todo Modo Produzioni, già registi di Nico D’Alessandria: un delirante insuccesso, li hanno ritrovati e ripresi con il sostegno dello stesso De Seta.
I malestanti, (neologismo inventato da uno degli ex alunni del “falso” maestro Bruno Cirino in opposizione ai benestanti dei quartieri borghesi), sarà proiettato stasera in Campidoglio, preceduto, alle 21.00, dal Diario.
Un’anteprima voluta dal sindaco Veltroni per rendere omaggio a De Seta che, per l’occasione, rincontrerà i vecchi studenti. Prossima tappa del documentario, frutto di 1 anno e mezzo di lavoro, sarà il Torino Film Festival.
E’ stato difficile ritrovare i protagonisti del “Diario”?
No. Abbiamo consultato gli elenchi telefonici e poi molti di loro vivono ancora al Tiburtino e si conoscono. Erano 16: uno, Sergio, è morto in un incidente stradale dopo le riprese del Diario; 3 hanno preferito non partecipare per motivi personali; i 12 rimasti hanno dimostrato una spontaneità disarmante. Con la telecamera avevano già dimestichezza. I 3 mesi passati con Bruno Cirino sono stati per tutti un paradiso. Sono passati dal maestro padre-padrone ad un metodo didattico democratico fondato sul dialogo e la collaborazione.
Che cosa è cambiato per loro e per le periferie romane in 30 anni?
I ragazzi hanno avuto percorsi diversi ma tutti raccontano la trasformazione del quartiere con toni nostalgici. All’epoca del film vivevano in lotti di costruzione fascista: palazzine basse, dalle condizioni igieniche precarie ma con grandi cortili per i giochi. Spazi animati da uno spirito comunitario andato perduto quando questi edifici sono stati abbattuti per fare spazio a palazzoni a 12 piani, realtà abitative verticali dove comunicare è sempre più difficile. L’altro tratto comune è la precarietà, specie quella lavorativa.
Nel vostro documentario c’è anche un’intervista a De Seta. Come ricorda il set del “Diario”?
Dice che se una scuola del genere fosse durata 3 anni invece di 3 mesi forse avrebbe inciso davvero sulle vite dei ragazzi. Ma è convinto che quel periodo sia servito a fargli capire la possibilità di un’alternativa. Rivedendoli sullo schermo ha anche notato che conservano freschezza e spontaneità.
“I malestanti” è diventato anche un libro.
Ha lo stesso titolo del film ed è nato dalla collaborazione con Shortvillage che ci ha seguiti fin dall’inizio, pubblicando sul sito i nostri scritti sulla lavorazione del film. Questo “diario nel diario” è stato raccolto in un volume e racconta molti aspetti che nel film non emergono. Contiene anche testi di Walter Veltroni, Vittorio De Seta, Callisto Cosulich e Luciano Tovoli, il direttore della fotografia.
Il vostro prossimo progetto?
Da gennaio fino a marzo/aprile faremo un laboratorio nella stessa scuola del Tiburtino dove fu girato il Diario. Vogliamo che i ragazzi raccontino la loro vita e il rapporto con la scuola ma, a differenza del film di De Seta e di Essere o avere di Nicholas Philibert, saranno loro stessi a filmarsi. Noi gli insegneremo a usare le videocamere. Da quest’esperienza verrà un nuovo documentario, La scuola è anche fuori, ideale proseguimento de I malestanti. Così continueremo a seguire le tracce di De Seta: quando alcuni critici del Diario dissero che quel metodo era possibile solo in una fiction, che la scuola vera era ben altra cosa, lui girò alcuni documentari sui maestri impegnati realmente in una scuola alternativa.
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