Tizza Covi: “Italia & Austria, insieme alla Quinzaine”


Dopo il doppio premio dell’anno scorso a Garrone e Sorrentino, quest’anno l’Italia si presenta a Cannes in concorso solo con Vincere di Marco Bellocchio. Ma un po’ di Belpaese, “ufficiosamente”, spunta anche nella Quinzaine des Réalisateurs con La pivellina, terzo film (e primo di finzione) della coppia italo-austriaca Tizza Covi-Rainer Frimmel. Prodotto dalla Vento Film che, essendo di proprietà dei due registi, è anch’essa italo-austriaca, La pivellina è stato realizzato con appena 150mila euro ed è gestito per le vendite internazionali da Film Distribution, che lo farà uscire sicuramente in Francia e in Italia. A parlare del film in anteprima a CinecittàNews è Tizza Covi, bolzanina classe ’71 che ha trascorso la sua vita tra Vienna, Parigi, Berlino e Roma.

“La pivellina” è il vostro primo film di finzione dopo una carriera da documentaristi. Perché questa scelta?
Io e il co-regista Rainer Frimmel, dopo aver girato i primi film insieme, ci siamo resi conto che l’aspetto documentaristico era certamente quello che ci interessava di più, ma che eravamo arrivati a un punto in cui non ci bastava. Così abbiamo debuttato nel lungometraggio di finzione con La pivellina, che comunque è molto documentaristico: ha un’anima neorealista perché è realizzato solo con attori non professionisti, tutto in esterni senza scenografie ricostruite, soltanto con luce naturale e con una troupe di due persone, io e Rainer, che girava in super16. Questo ci ha permesso di avere la massima libertà e molto tempo per girare, nonché la possibilità di cogliere al volo delle situazioni che si creavano e che volevamo documentare.

Come avete scelto la storia?
La pivellina racconta di una coppia di circensi che si imbattono in Asia, una bambina di due anni abbandonata, e decidono di aiutarla e di prendersi cura di lei. Io e Rainer conosciamo questi circensi di San Basilio da molti anni e sappiamo bene che sono visti in modo negativo: il nostro obiettivo era mostrarli da un altro punto di vista, far capire come vivono e che anche loro, spesso, hanno un gran desiderio di aiutare gli altri.

Si tratta quindi una docu-fiction?
E’ un film di finzione con delle parti documentarie. Avevamo una sceneggiatura precisa, ma ai nostri protagonisti – Patrizia Gerardi, Asia Crippa, Tairo Caroli, Walter Saabel -comunicavamo solo alcuni temi chiave da affrontare un’ora prima di girare, e poi erano loro a improvvisare i dialoghi.

Qual è il vostro sguardo sull’Italia?
Mostriamo un’Italia non idealizzata, dove l’inverno può essere molto freddo e piovoso, come nella realtà. E un paese in cui, magari dietro le quinte, possono svilupparsi grande solidarietà e calore, anche in situazioni drammatiche. E’ sostanzialmente uno sguardo positivo su alcune persone che vivono ai margini e sono malviste, ma non lo meritano.

Cosa pensa della scarsa presenza dell’Italia al Festival di Cannes di quest’anno?
Mi dispiace molto. L’anno scorso c’erano due film belli e d’impatto che hanno reso la partecipazione italiana fortissima; quest’anno ce n’è solo uno e dispiace. Ma anche gli austriaci sono rimasti un po’ delusi (c’è solo Michael Haneke) anche se non si può paragonare la produzione italiana con quella austriaca. Io e Rainer Frimmel siamo alla Quinzaine, una sezione che ama le sperimentazioni, proprio perché siamo sostenuti da due enti austriaci che finanziano i film nazionali senza pretendere un ritorno commerciale: è una grande possibilità.

Qual è il vostro prossimo progetto?
Sarà di nuovo un film di finzione con una parte documentaristica e sarà focalizzato su Philipp Hochmair, un attore giovane ma già molto conosciuto, che seguiremo nelle prove dei suoi spettacoli. Racconteremo una storia di finzione legata ai suoi rapporti con i vicini.

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07 Maggio 2009

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