CANNES – “Nell’arte bisogna andare oltre i confini. Giocare, esseri liberi, grazie alla fantasia”. E nella sua carriera Tilda Swinton ha sempre dato dimostrazione di essere un’artista libera da ogni pregiudizio e preconcetto, dando vita sul grande schermo a personaggi sempre diversi e ricchi di sfaccettature. Qui al Festival di Cannes la star mondiale, nata a Londra, 60 anni fa, è tra i protagonisti di due film in concorso. In The French Dispatch di Wes Anderson è la cronista e critica J.K.L. Berensen che conosce intimamente ogni lato del mondo dell’arte moderna. Nel film Memoria, diretto dal tailandese Apichatpong Weerasethakul, interpreta una donna che si reca a Bogotà per far visita alla sorella malata, alle prese con una serie di inquietudini. Abbiamo incontrato la Swinton, in tutto il suo fascino così alieno, in una suite dell’hotel Majestic che affaccia sul mare, nel corso di Women In Motion, appuntamento organizzato dalla Fondazione Kering e nato con l’intento di mettere in evidenza il contributo che le donne danno all’industria cinematografica.
Com’è essere qui al Festival di Cannes?
È un anno unico, un vero sollievo essere di nuovo riuniti. Certo, abbiamo dovuto prendere nuove abitudini e adeguarci alle nuove regole. Io sono una persona estremamente positiva. Avevamo dei film pronti che avremmo dovuto portare la scorsa edizione a Cannes, e poi è stata cancellata. Quindi sono felice di essere qui. Sento che le persone sono grate e aperte all’ispirazione. Tutti avevano paura che il cinema non si riprendesse. E, invece, abbiamo avuto un’altra possibilità.
Come sceglie i ruoli che interpreta?
In realtà, non mi sento un’attrice. E dunque non scelgo un ruolo o una sceneggiatura, ma le persone con cui lavorerò, le relazioni. Ad esempio ho deciso di lavorare in Memoria perché tantissimi anni fa incontrai Apichatpong Weerasethakul mentre ero nella giuria che gli ha assegnato un premio per Tropical Malady. Abbiamo stretto amicizia e iniziato a parlare di fare un film insieme. E’ arrivato sedici anni dopo.
Ma c’è qualche elemento che le fa scegliere un personaggio piuttosto che un altro?
Ho sempre avuto l’impressione che nell’arte si debba andare oltre i confini, trascendere le nostre esistenze, essere liberi, non limitarsi a un’età o a un genere. Si tratta di giocare. Per me non è un lavoro, non ho mai avuto alcuna formazione, non so recitare in senso professionale. Perché non vestire i panni di una donna di 150 anni o di un uomo? Tutto è fantasia. Quando i bambini si travestono per recitare in casa non si pongono alcun limite. I veri attori potrebbero non dirlo perché hanno orgoglio professionale, ma io sono una dilettante e ne sono orgogliosa.
Cosa pensa del ruolo delle donne nell’industria cinematografica?
Io onestamente non sento di essere stata discriminata in questo mondo. Ad esempio, abbiamo sempre avuto registe e sempre le avremo. Agli albori del cinema c’erano donne potenti, il mio amico Mark Cousins ha realizzato una serie sulle registe. Molte donne lavorano nel cinema, come costumiste, sceneggiatrici, direttori della fotografia. Quando siamo preoccupati per la mancanza di donne nell’industria, generalmente guardiamo solo al numero di registe selezionate, ma dobbiamo osservare anche le professioniste del settore. Non dobbiamo accontentarci della nostra situazione, ma amplificarla, avere fiducia in noi stesse.
Anche sua figlia Honor recita ed è qui a Cannes con Souvenir, film diviso in due parti diretto dalla sua amica Joanna Hogg. Cosa pensa di lei?
Non dovrei dirlo io perché sono di parte, ma è molto brava. L’atmosfera sul set era familiare e disteso. Sarà che conosco Joanna da così tanto tempo, la nostra amicizia risale all’infanzia, quando avevamo 10 anni, molto prima che iniziassero le nostre rispettive carriere. Si sono sviluppate passioni comuni, soprattutto per il cinema. Ho anche recitato una parte nel suo film di diploma. Abbiamo già un altro progetto per il prossimo anno. Poiché abbiamo un’amicizia così pura e onesta, che possiamo seguire i nostri desideri.
Quanto è fan del cinema?
Sono una fanatica. I primi film che ho visto sono stati Bambi e Mary Poppins. Mi è sempre piaciuto conoscere i trucchi di questo mondo. Ricordo il primo Le cronache di Narnia, diretto da Andrew Adamson, che aveva già fatto Shrek. Era il suo primo film di finzione, non sapeva come farlo. L’abbiamo girato in Nuova Zelanda, c’erano 1500 persone in una tenda per pranzo, tutti erano lì per il film, con grande passione.
E nel suo futuro cosa c’è?
Non costruisco una carriera pensando a chi interpreterò. Io parlo, discuto, sono più ricettiva che creativa. Se penso, invece, al futuro nella mia vita privata, beh, vorrei finire l’arredamento della mia cucina.
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